In un paese che vive da 60 anni in guerra è possibile che anche un attentato "bombarolo" diventi motivo di sollievo specie se avviene in una giornata di eccezionale e rarissma neve che ha paralizzato l'intero Paese.
Un motociclista, come nella migliore tradizione terroristica, passa lentamente presso un'automobile parcheggiata nel cuore di Tel Aviv non lontano dal Ministero della Guerra, lascia cadere un pacco e fugge nel traffico rarefatto dalle insolite condizoni atmosferiche. Poco dopo un'esplosione. L'auto va in fiamme, cinque o sei persone sono ferite ma non gravemente.
E' stata probilmente la mancanza di un risultato più letale a insospettire la polizia che già in stato d'allarme per le condizioni meteorologiche dà la caccia al motociclista e, a quanto si dice, lo arresta. In attesa di maggiori dettagli è bastato l'annuncio della polizia secondo cui si è trattato di una resa di conti fra criminali, a far tirare un sospiro di sollievo all'intero paese. Sarebbe "solo" il quinto o sesto tentativo di ammazzare Nissim Alperon, illustre membro della più potente famiglia mafiosa del Paese, con il capostipide ammazzato, l'erede in prigione e Nissim, altro membro importante del clan, scampato per miracolo a un attentato.
Ma perché tanta gioia per un'esplosione criminale? Perché contro le previsioni dei servizi d'informazione e dello stesso Presidente dello Stato non si è trattato dell'inizio della "terza intifada" che tutti ritengono imminente a causa del senso di delusione politica e per la crisi economica che pervade il settore palestinese.
La prima rivolta palestinese, detta "l'intifada delle pietre" (1987) aveva causato 160 morti israeliani, 1162 palestinesi uccisi dall'esercito e altri 1000 dai palestinesi stessi. La seconda denominata "intifada di al Aqsa" dal nome della moschea di Gerusalemme da dove era partita nel 2000 aveva causato 3858 morti palestinesi e 1022 israeliani, quest'ultimi sopratutto con attacchi suicidi contro civili nelle città.
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