Saddam Hussein, il tunisino Ben Ali, Gheddafi, Mubarak. Giorno verrà, a Washington, in cui qualcuno dovrà battersi il petto e riconoscere che l'infernale effetto domino innescato dalla caccia a Saddam ha sconvolto il Medio Oriente producendo esattamente gli effetti opposti a quelli che si ripromettevano gli Stranamore americani. Non erano dei campioni di democrazia, Saddam e i suoi compari. Quei regimi andavano abbattuti, compreso quello di Mubarak che per decenni, tuttavia, aveva prodotto stabilità nell'area e in cambio dei dollari americani aveva fatto da «garante» alla sicurezza di Israele. Ma la «primavera araba» così come si è andata realizzando, con il predominio degli oscurantisti che invocano la sharia, non è esattamente quello a cui pensavano a Washington, all'inizio di tutto.
Hosni Mubarak, per esempio. Che il regime andasse svecchiato e modernizzato, dopo un trentennio in cui il suo clan aveva infiltrato tutti i centri di potere è sicuro. Ma che non si sia riusciti a capire, di là dall'Atlantico, che il vecchio Mubarak stava per essere stritolato da un complotto ordito dai Fratelli Musulmani lo riconosce oggi, sia pure indirettamente, la stessa Corte di Cassazione egiziana. Mubarak va processato di nuovo, ha stabilito la Corte. E con lui anche il suo ex ministro dell'Interno, Habib al-Adli, entrambi condannati nel giugno scorso all'ergastolo per il coinvolgimento nell'uccisione di manifestanti durante le proteste del 2011 che portarono alla caduta del regime. Nuovo procedimento anche per i sei generali ai vertici del ministero dell'Interno durante la rivolta di piazza Tahrir, che erano stati assolti in primo grado. Una mossa a sorpresa, quella della Corte, che ridisegna la trama di quei giorni convulsi e mostra di accogliere il punto di vista della difesa, secondo la quale il presidente egiziano non diede mai ordine di sparare sulla folla. Tutto da rifare anche per i due figli di Mubarak, in carcere con l'accusa di corruzione e abuso di potere.
All'esterno dell'edificio che ospita l'alta Corte di giustizia egiziana si era radunata fin dall'alba una piccola folla di sostenitori di Mubarak. E quando il verdetto è stato pronunciato hanno esultato issando foto e cartelli e inneggiato all'ex raìs. L'oggi ottantaquattrenne Hosni Mubarak è da tempo in ospedale, e le sue condizioni fanno temere che non riuscirà a levarsi la soddisfazione di vedersi assolvere (posto che accada) dall'accusa infamante di aver fatto sparare a freddo sul suo popolo. Da giugno le sue condizioni sono peggiorate ed è stato in coma, dopo un attacco cardiaco. Al suo posto, dal giugno dello scorso anno, c'è Mohamed Morsi, ex pezzo grosso dei Fratelli Musulmani. E a conti fatti, da come si erano messe le cose, forse si potrà dire che per l'Occidente un uomo pragmatico e prudente come Morsi rappresenta forse il meno peggio.
Ha cominciato facendo posto nel suo governo ad esponenti non islamici e ha proseguito ignorando la pretesa delle frange più estremiste che puntavano a sopprimere certe libertà secolari ormai patrimonio di una popolazione largamente «occidentalizzata». Il trattato di pace con Israele non è in discussione, e a lui si deve il recente cessate il fuoco tra Hamas e Israele.
Ma questo non vuol dire che Morsi abbia rinunciato alla sua visione di un Egitto islamico. Solo, sarà una «lunga marcia» invece di una rivoluzione. E la decisione odierna della Cassazione che «riabilita» Mubarak arriva troppo tardi, a giochi ormai fatti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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