Israele e le sfide impossibili

L'aggressione politica aguzza l'ingegno: Israele esporta salmoni allevati nel deserto, aerei senza pilota e le migliori sale operatorie del mondo

Israele e le sfide impossibili

Allevare salmoni «norvegesi» nel deserto, riparare tubature de­gli acquedotti dall’interno per bloccare lo sperpero di acqua per causa di tubi perforati o mal salda­ti, inventare nuovi tipi di chip,atti­rare dall’estero laboratori di ricer­ca di società come Google, Ebay, Microsoft, Cisco, sono alcuni dei successi menzionati nel best sel­ler di due giornalisti ( Dan Senor & Saul Singer: Start-up Nation 2009) per spiegare come un Paese grande come la Lombardia in guerra da 64 anni e senza risorse naturali è riuscito a aumentare di 10 volte la popolazione (da 600 mi­la a 7,5 milioni) le esportazioni di 13mila volte (da 6 milioni a 8 mi­liardi di dollari) piazzandosi in ter­mini di Pil fra Spagna e Italia.

Il segreto di queste scommesse vincenti con continue sfide esi­stenziali sta nella combinazione di tre atteggiamenti caratteriali: sprezzo dell’autorità, passione del rischio, visione dell’avversità come fonte di energia. Non rende Israele particolarmente simpati­co a molti. Ma pone il più delegitti­mato Paese dell’Onu al 22˚ posto nella scala dei «migliori Paesi del mondo» (secondo Newsweek ), al quindicesimo per dinamismo, al primo per la salute pubblica con l’88% di soddisfazione della sua popolazione. È il solo ad aver supe­rato l’attuale a crisi aumentando il suo rating; l’unico che inizia il ventunesimo secolo con più albe­ri e­verde che all’inizio del ventesi­mo, che ha risolto i problemi di ir­rigazione con la desalinizzazione e l’invenzione dell’irrigazione a gocce. Detiene il record mondiale della produzione del latte per mucca, esporta le migliori sale operatorie assieme ad aerei senza piloti, vanta la più alta percentua­le di sopravvivenza dal cancro con medicine innovatrici contro l’Alzheimer, il Parkinson e la scle­rosi multipla, una pillola rivolu­zionaria per la diagnosi del siste­ma digestivo e il primo computer biologico.

Si potrebbe allungare la lista ma la formula del successo che fa tanto imbestialire i suoi nemici, arabi e non arabi, non si è autocre­ata. Vi hanno contribuito leader come Ben Gurion che ordinava, quando un esperto affermava che un compito era irrealizzabile, di cambiare l’esperto; come Shi­mon Peres che negli anni Ottanta ha ridotto l’inflazione (dal 400% all’attuale 2.3%), come Netan­yahu c­he negli anni Novanta ha li­beralizzato l’economia abbassan­do la disoccupazione dal 12 al 4.7%, come il governatore della banca centrale Stanley Fisher che ha accumulato 78 miliardi di dol­l­ari di riserve stabilizzando la mo­neta.

Vi hanno contribuito i 20 col­legi universitari, accademie, con 3 catalogate fra le prime 50 del mondo. In ultimo l’apporto di un milione di immigranti dalla Rus­sia con educazione superiore per il 50% e la concentrazione in pa­tria del più alto numero al mondo di scienziati e ingegneri per 10.000 abitanti (produttori del più alto numero di brevetti dopo USA e Canada). Tuttavia un catalizzatore dello sviluppo é stato l’esercito. Con­s­cio della propria inferiorità quan­titativa nei confronti del nemico arabo ha puntato sulla qualità umana facendo proprio il motto di Einstein: l’immaginazione è più importante della conoscenza. Chi esaminasse la lista dei fonda­tori, direttori, amministratori del­le società start-up (ve ne sono ol­tre 4000 con un numero di quelle registrate alla borsa Nasdaq di New York che è superiore a quello europeo) noterebbe che la gran­de maggioranza di questi innova­tori esce dalle unità scientifiche, tecnologiche e di intelligence del­le forze armate.

Il «miracolo» israeliano ha le sue ombre: divario di ricchezze e stato sociale, concentrazione del potere finanziario nelle mani di 18«famiglie allargate», basso livel­lo delle scuole medie, un milione di bambini a livello di povertà.

Pro­blemi a cui la scoperta di giaci­menti di gas sottomarino dovreb­bero portare rimedio entro il 2014 garantendo l’indipendenza ener­getica del Paese e la creazione di un fondo sovrano dedicato - se­condo le promesse con cui Bibi Netanyahu conta di vincere le prossime (2013) elezioni legislati­ve all’educazione, allo sviluppo e alla integrazione sociale.

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