L'America celebra lo sbarco di 70 anni fa. Ma oggi lo rifarebbe?

Il discorso del presidente Usa è molto convenzionale e manda un messaggio fin troppo chiaro: nostro obiettivo è non combattere

L'America celebra lo sbarco di 70 anni fa. Ma oggi lo rifarebbe?

A Colleville sur Mer Obama ha optato, nell'arringa ai leader del mondo, per un profilo convenzionale e piuttosto scontato. Il discorso in cui ha ricordato il sacrosanto, decisivo intervento degli americani contro il nazifascismo avrebbe potuto avere almeno un sentore politico, un tono impositivo in tempi oscuri di prepotenze antidemocratiche.

La memoria dei 9387 soldati americani uccisi sulle spiagge francesi, mentre si avventuravano verso la maggiore invasione di tutti i tempi, avrebbe potuto imporre un momento di verità alla confusissima comunità di primi ministri assiepati in Normandia. Putin avrebbe potuto, dovuto sentire almeno per un momento la presa americana sul mondo, ora che, dopo che gli era stato precluso il G8 divenuto G7, aveva tranquilli appuntamenti individuali con Hollande, Cameron, Merkel. Sì, Obama non gli aveva dato un appuntamento, ma, guarda caso, poi i due hanno avuto una conversazione faccia a faccia. Il discorso di Obama ha avuto lo stesso segno di doppio messaggio che ha ormai ogni sua mossa, come il discorso di West Point, come l'intervento in Polonia: siamo forti, ma la mia strategia rifiuta ogni intervento in cui si debbano posare scarpe chiodate a terra. Non crediamo in nessuna soluzione militare.

Dunque, la Normandia è un pezzo vintage su cui condividere magnifici ricordi con i veterani, quei cari vecchi coraggiosi. Il presidente ha ricordato commosso il sacrificio dei soldati americani: «Questi uomini hanno fatto la guerra perchè potessimo avere pace, si sono sacrificati per darci la libertà, hanno combattuto nella speranza che un giorno non ci sia più bisogno di combattere, gli siamo grati». Ovvero: questi uomini, ha detto fra le righe Obama, sono morti per la pace. La mia pace. Obama ha ribadito anche in Normandia il suo credo fondamentale: la mia politica è bandire la guerra. Reagan (lo riporta Ricky Moran su American Thinker) durante la stessa visita nel 1984 diceva: «Voi sapete che ci sono cose per cui vale la pena di morire: il proprio Paese, la democrazia... per essa si può morire perchè è la forma più onorevole che l'uomo abbia individuato». E anche: «C'è una profonda differenza morale fra le forze di conquista e quelle di liberazione. Eravate qui per liberare, non per conquistare, e quindi non dubitavate della vostra causa. E avevate ragione a non dubitare».

Invece il discorso di Obama già nell'impostazione è pieno di doppi significati, così come il collegamento che ha fatto con «le forze militari del dopo 9/11, che risposero a una chiamata, dissero io andrò, e hanno deciso di servire una causa più grande di loro... e hanno resistito per un decennio». Ma queste forze partirebbero di nuovo «per liberare»? Obama ha detto che non puà esserci «più potente segno dell'impegno dell'America alla libertà umana che la vista, onda dopo onda, dei giovani uomini che sbarcavano per liberare gente che non avevano mai visto».

Ma è molto difficile crederlo: Obama ha appena annunciato, ignorando il terrorismo micidiale in Iraq, che entro il 2016 tutte le forze americane saranno sgomberate dall'Afghanistan; ha ignorato la richiesta georgiana, ignora quella ucraina, gioca con quella siriana, svicola di fronte al jihadismo che ha invaso il mondo. Non ci aspettiamo di vedere altre barche cariche di eroi all'orizzonte, liberi tutti.

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