Il lieto fine della diplomazia. Ma la pace è solo un'illusione

La Clinton ha pressato Morsi, ma la mediazione rischia di fallire. Perché Hamas non cambia: come dimostra l'esultanza per l'attentato sull'autobus

Un autobus esplode con 27 feriti, 4 gravi, decine di missili cadono ancora su Israele, Israele bombarda alcuni obiettivi strategici a Gaza. E poi alla sera happy end, Hillary Clinton con sorriso da gatto insieme al ministro degli esteri egiziano Mohammed Kamel Amr presenta al Cairo il cessate il fuoco di questa guerra. Ha avuto l'ok da Netanyahu al telefono. C'è di che essere molto contenti, speriamo che sia gli israeliani che i palestinesi dormano finalmente stanotte. C'è di che essere molto preoccupati, speriamo che possano dormire tranquilli molte notti, e non è facile crederlo.

Molte volte la cronista ha dovuto vedere le carcasse degli autobus fatti esplodere dai terroristi suicidi. A volte ancora con la gente seduta dentro. Quando non vengono solo feriti, o fatti a pezzi, rimangono per qualche minuto seduti immobili, morti, intatti perché uccisi dalla distruzione dei loro organi interni a causa dello spostamento d'aria causato dall'esplosione; una volta a Gerusalemme ho visto un ragazzo seduto così, la testa reclinata indietro e lo zaino in grembo. Un'altra volta ho visto Shimon Peres sotto una pioggia battente che con l'ombrello aperto si sporgeva fra resti anneriti in Rehov Jaffo, piangendo. L'esplosione di un autobus è quella della casa di tutti i suoi viaggiatori. Restano libri, giocattoli, la spesa, borse, cappotti. Una volta ho visto i genitori dei ragazzi che abitano a Gilò precipitarsi giù per la discesa sulla quale era esploso l'autobus che ne trasportava chissà quali, chissà i figli di chi, a scuola. Ieri, mentre si sgombravano i resti degli autobus e si trasportavano i feriti, un missile colpiva quattro abitanti del sud e però si svolgevano altri due eventi. Hillary Clinton ha evidentemente mostrato al Cairo un volto abbastanza deciso a Morsi, chiuso nell'angolo di una enorme penuria economica.

Morsi è stato dunque pressato a dire ai palestinesi di fare una cortesia e smettere di sparare. Il secondo evento denso di significati è la reazione di Hamas alla notizia dell'attentato che ha gettato nel panico Tel Aviv: fra spari di gioia il portavoce Abu Zuhri ha benedetto l'attacco terrorista, e la Jihad islamica ha dichiarato che «è una vittoria per il sangue degli Shahid», e lo hanno ripetuto tutti gli altoparlanti delle moschee. Hamas non può essere pacificato, non è nei suoi programmi, nel suo Dna, a meno che non gli vengano tagliate le unghie, ovvero le armi e il sostegno politico. Deve essere invitato alla tregua con mezzi più strategici di quelli usati fino ad oggi. Obama ha spedito la Clinton a cercare di riparare i guai che in Medio Oriente, dopo le rivoluzioni arabe, stanno venendo al pettine, ma il rischio è che a caccia di illusioni, dove è andato Obama fino ad oggi, si cucini una situazione che prepari altre guerre: come dimostra il lancio di due missili ieri sera dal Libano su Israele. Hamas è un'organizzazione che dimostra di continuo la sua natura: attacca i civili, rivendica il terrore e lo loda, trascina nel fango con una moto le membra di chi definisce «collaborazionista».

Eppure è stata ignorata e lasciata crescere all'ombra della Siria, ha goduto della fornitura enorme di armi di Teheran, la cui potenza e quantità si è vista in questi giorni. Ma l'Iran è una vacca sacra, Obama l'ha lasciata fare, per non parlare dell'Europa. Gli Usa e l'Europa non hanno mai detto una parola, anche se dai tempi delle navi come la «Karin A» i rifornimenti erano palesi. Adesso che, col ritorno alla casa sunnita Hamas ha stretto un rapporto intrinseco con l'Egitto di Morsi, quello dei Fratelli musulmani cui Hamas appartiene, Morsi viene lodato dagli Usa e dall'Europa perché ha mediato una pace. Ma quale pace? Un segnale positivo ieri l'ha dato fermando le armi dalla Libia, ma l'azione sa di public relations. L'America adesso deve chiedergli di non conclamare il suo appoggio e l'alleanza con Hamas, così come deve dire a Erdogan di fermarsi quando il suo istinto antisemita gli suggerisce parole da black bloc, accusando Israele di «pulizia etnica». Non è una questione di educazione, ma di smantellamento delle arterie principali di una prossima esplosione. E soprattutto, occorre fermare il rifornimento di armi iraniano.

Anche se Israele accetta ora la tregua, di fronte a una nuova Intifada dei palestinesi della Cisgiordania o all'insistere del rifornimento di armi, non accetterà che i suoi cittadini

siano bersagliati. Bisogna ricordare, per disegnare strategie, che Israele è l'unico Paese del mondo che abbia mai vinto il terrorismo, e che l'Islam l'unica religione che abbia mai giurato di distruggere una nazione sovrana.

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