Mubarak in cella, i suoi generali al potere

L'esercito ha cacciato l'ennesimo faraone, come aveva fatto anche con Mubarak. L'esercito dà e toglie, come il Nilo, e lo fa da cinquemila anni

Mubarak in cella, i suoi generali al potere

Dunque, è un colpo di stato militare? Obama tace, prolungando la spaventevole assenza americana nel tumulto internazionale, e lasciando ai suoi di biasimare l'esercito egiziano con la virtuosa richiesta di restituire il potere alla società civile. I vedovi delle primavere arabe mettono l'accento sulla richiesta di democrazia delle folle egiziane, chiedono all'esercito di tirarsi indietro e scansano l'idea del colpo di Stato militare. Ci si scorda che militare era Nasser, militare era Sadat, militare il governo, per cinquemila anni, dell'unico Paese arabo vero in un mondo fatto a matita dall'accordo Sykes Picot nel 1916, quando si spartì l'impero Ottomano. Non si può fare un colpo di Stato se non c'è lo Stato. Vorremmo averlo detto noi, ma l'ha scritto sul Times of London Roger Boyes. La frase suona ancora più ironica dopo che ieri l'85enne ex presidente Mubarak, certo di buon umore, è apparso in tribunale per essere giudicato dell'omicidio dei suoi manifestanti. Si è dichiarato innocente. Lo Stato ha finto di fare il suo lavoro mentre Mubarak se la rideva sotto i baffi e le piazze facevano nuove decine di morti. Mubarak avrebbe anche potuto dichiararsi vincitore: erano i suoi vecchi scherani ad affiancare il generale Sisi durante la solenne dichiarazione della presa del potere. L'ex presidente Morsi siede in custodia, la sua folla, enorme e impazzita di rabbia, si vede sfuggire di mano il potere conquistato dopo 85 anni di persecuzioni. Ma questa folla la odia altrettanto il popolo variegato che ha visto Morsi comportarsi come un impiegato dei Fratelli musulmani, usare tutto il potere per la realizzazione della sharia e per piazzare i suoi invece che per combattere la fame e l'ignoranza. L'esercito certo ha agito con premeditazione, temendo, a ragione, che Morsi lo avrebbe trasformato in una schiera di Pasdaran fanatici e religiosi, ed ha abbracciato i ribelli. Così ha cacciato l'ennesimo faraone, come aveva fatto anche con Mubarak. L'esercito dà e toglie, come il Nilo, e lo fa da cinquemila anni. E se non affoghiamo nei nostri sogni occidentali diremo realisticamente: l'Egitto può ora andare a pezzi, cadere preda di bande che per anni cercheranno le une il sangue delle altre. La formula «restituite immediatamente il potere ai civili» è qui senza senso. Tutti e nessuno qui sono i «civili» che possano gestire le istituzioni, perché esse non esistono. E il disastro incombe. Ieri un pope copto è stato ucciso, nelle città impazza la fame, i tribunali vengono sostituiti nel Sinai da corti shariatiche, la polizia è corrotta, niente funziona, gli Usa non usano l'espressione «golpe militare» perché in caso venga pronunciata la legge statunitense costringerà il Pentagono a tagliare 1 miliardo e 300 milioni di dollari di finanziamento militare, insieme ai 250 milioni che dovrebbero alleviare i guai sociali. Un Paese grandissimo e vetusto è senza controllo: parte è armata coi residui provenienti dalla Libia e da altri occasionali mestatori, il Sinai è percorso da bande di Al Qaeda, Hamas irritato scavalca il confine e porta armi ai Fratelli musulmani.

Si aggira una massa in mezzo alla quale il tasso di omicidi dalla primavera araba è cresciuto del 300 per cento e le rapine di dodici volte, e noi facciamo i signorini attaccando l'esercito che affronta l'inferno. La democrazia oggi laggiù è meno importante delle vite umane. L'esercito egiziano ne salverà molte. È un golpe militare? E sia.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica