Netanyahu furioso per l'imminente intesa Usa-Iran

A Gerusalemme si percepisce il senso di abbandono da parte americana. Le conseguenze dell'ormai vicino alleggerimento delle sanzioni a Teheran

Ormai è questione di ore, l'accordo con l'Iran sull'arricchimento nucleare e quindi l'alleggerimento delle sanzioni che fino a oggi lo hanno colpito sembrano molto vicini. Si parla di «un primo accordo temporaneo» per cui l'Iran congelerebbe per sei mesi buona parte delle sue attività nucleari, e in cambio potrebbe accedere di nuovo ai suoi conti bloccati e riaprire i commerci in oro e petrolchimici.

Gli atteggiamenti che accompagnano le ultime ore di discussione a Ginevra sono molto diversi: l'entusiasmo della baronessa Ashton, ministro degli Esteri dell'Ue, traspare da tutti i pori, la si vede aggirarsi per i colloqui con un luminoso sorriso. Il ministro degli esteri Mohammed Javad Zarif, che ha avuto un incontro decisivo ieri mattina con la Ashton è cortese, solenne, sopporta sorridente il contatto con un mondo che il suo regime disprezza, e a cui proprio ieri la manifestazione religiosa centrale del venerdì a Teheran ha dichiarato inimicizia sempiterna. Ha l'aria di uno che sta là per fare un piacere e deve dimostrare insieme apertura e senso di superiorità sull'Occidente. È arrivato ieri in mezzo ai colloqui John Kerry, che invece, sia agli occhi del mondo che a quelli del Congresso non contento della ennesima cedevolezza di Obama, fa la parte di chi dimostra il senso di responsabilità degli Usa: infatti in una conferenza stampa ieri sera ha detto che l'accordo ancora non c'è, si è dimostrato cauto e severo, ha detto che si discutono aggiustamenti significativi.

Probabilmente il tono è stato dettato dall'atteggiamento del quarto attore, stavolta assente da Ginevra, ovvero il primo ministro dello Stato d'Israele Bibi Netanyahu. Raramente Bibi ha dimostrato con l'espressione del viso, il linguaggio del corpo e la durezza delle parole un simile stato di oltraggio. Ha detto che l'Iran «ha fatto l'affere del secolo, mentre il mondo ha fatto un pessimo affare», che «è logico che gli iraniani girino per Ginevra con l'aria soddisfatta, perché hanno avuto tutto e non hanno dato niente. Hanno avuto un sollievo dalle sanzioni senza rinunciare all'arricchimento nucleare». Netanyahu ha aggiunto, molto scuro in volto, di rifiutare l'accordo, che Israele non se ne sente obbligato e farà tutto quello che è necessario per difendere la sicurezza del suo popolo. Su Netanyahu pesa il senso di abbandono che gli comunicano gli Stati Uniti: in questi giorni, inaspettatamente, Kerry ha anche rovesciato su Israele, proprio dopo la sofferta liberazione dei terroristi pattuita con Abu Mazen, la responsabilità del rischio di rottura dei colloqui, e ha parlato addirittura di una terza Intifada, un'uscita molto minacciosa.

Ora molto più minacciose sono le clausole dell'accordo che sta per essere raggiunto. L'Iran non cesserà l'arricchimento dell'uranio, non consegnerà se non una parte dell'uranio arricchito, non cesserà di utilizzare il plutonio. L'arricchimento dell'uranio solo fino al 20 per cento, data l'accumulazione del minerale precedentemente arricchito, consente comunque l'assemblamento della bomba quando gli iraniani lo decidessero. Netanyahu chiede a Kerry di non firmare, ma è difficile ormai spengere la luce dei riflettori per la politica obamiana, che in questo caso può creare però un danno irrecuperabile.

Nell'oscurità, fuori dal palcoscenico, i sauditi organizzano l'acquisto della bomba atomica pakistana ready made, e Israele medita come non restare vittima di un Paese che giorno dopo giorno non smette di promettere la sua distruzione.

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