Il Papa non ha fatto magie ma ha difeso Israele il commento 2

diTroppo facile dire, come ha fatto il giornale israeliano Ha'aretz, che il Papa, Shimon Peres e Abu Mazen si sono presi una giornata di pace senza combinare nulla mentre il Medio oriente brucia. Ma gli incontri non sono magici: neppure quello fra Clinton, Rabin e Arafat, così smagliante, nuovo lo fu. Ma se restiamo coi piedi per terra, i significati non mancano: il Papa ha voluto un incontro sul Medio oriente, ma anche un incontro fra le tre religioni, grande ambizione in tempi di persecuzione di cristiani, e di antisemitismo. Non si è trattato del solito, spesso pretestuoso dialogo interreligioso: qui si è parlato di guerra, della necessità dell'uomo di abbandonare la violenza. Certo, lo si è fatto secondo stereotipi, i palestinesi hanno fatto la parte dei moderati dopo l'accordo con Hamas, ma si intravedeva l'incongruenza, l'aggressione dei cristiani dall'Arabia Saudita alla Siria. Benedetto lo affrontò col discorso di Ratisbona, non andò; questo Papa lo fa a modo suo. Non ignora, anche nella preghiera, che l'islam politico copre il mondo di attentati terroristici, e che semmai è irritato dalla visita di Abu Mazen. Il Papa, dal suo punto di vista, ha avuto successo: le diocesi nel mondo hanno creato una mobilitazione capillare fiancheggiate dai media. Il Cardinale Vincent Nichols, in Inghilterra, ha invitato gli ambasciatori israeliano e palestinese; iniziative sono state prese in Irlanda, a Hong Kong, in Malesia, a Singapore, nel Brunei e a Timor... Gli angoli più strani del mondo si sono uniti al Papa globale. Non è affatto scontato che le tre religioni preghino insieme, specialmente i musulmani che considerano le altre religioni superate dall'islam. Tuttavia l'incontro ha suggerito che si possa parlare: ogni simbolo, ogni immagine (importante anche per gli ebrei) che potesse costituire un impedimento teologico sono stati eliminati. L'onda mediatica è stata enorme e priva di minacce, aggressioni, critiche. Netanyahu ha taciuto dimostrandosi diplomatico: Abu Mazen ha appena stretto un'alleanza con Hamas, che solo ieri notte ha di nuovo sparato un missile da Gaza. Israele è scioccata dalla sua mossa, ed egli ha avuto fortuna a legittimarsi nell'evento Papale. Non si può tuttavia dire che Francesco abbia voluto favorirlo. È evidente il suo interesse ad apparire giusto con i contendenti, perché questo è ciò che garantisce il buon mediatore. Ma considerare che la fermata davanti al muro di Betlemme che impedisce ai terroristi l'ingresso ma che i palestinesi vogliono rendere simbolo di apartheid, abbia segnalato una preferenza verso i palestinesi, non funziona. Il Papa ha deciso, primo nella storia, di visitare la tomba di Theodor Herzl, fondatore del sionismo, attribuendogli un significato spirituale alla presenza del popolo ebraico qui, riconoscendo che Israele è la sua patria. Del resto aveva nella sua prima enciclica riconfermato che «il patto degli ebrei (sulla terra) con Dio non è mai stato revocato» e ha dedicato parole fortissime all'antisemitismo. Francesco parla volentieri delle comuni origini di ebraismo e cristianesimo.

Il Papa ha anche mostrato il suo apprezzamento per il fatto che in Israele «lavora e vive una varietà di comunità cristiane», sa che è l'unico Paese mediorientale in cui i suoi da 34mila nel '49 sono diventati 161mila nel 2013, mentre intorno emigrano o sono perseguitati. Per la Chiesa l'incontro è stato un'occasione di mostrare vitalità, universalismo, con una evidente tendenza a fare da arbitro, vedremo il seguito.

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