Il premier israeliano si sente tradito: troppi segreti negli accordi con Teheran

È stato dall'Air Force One, andando a Seattle, uno dei più spettacolari bastioni del potere americano, che Obama ieri ha chiamato Bibi Netanyahu a Gerusalemme. Non è stata una conversazione semplice, ma l'indispensabile incontro di una coppia che non può, almeno non può ancora, vivere separata. Israele e gli USA solo qualche mese facevano mostra di un'alleanza sostanziale, fatta di valori, di ricordi, di canzoni, di film, di pacche sulle spalle fra i due leader senza giacca. Che l'Iran fosse il peggiore di tutti i nemici era credo comune, che forse si sarebbe dovuto usare i jet contro le centrifughe, una formula ripetuta da ambedue. Era inteso un Paese che odia gli ebrei e ne minaccia l'estinzione, che vuole soggiogare il mondo e a casa sua impicca gli omosessuali e rinchiude i dissidenti non debba arricchire l'uranio.
L'America e Israele sono due Paesi di frontiera, due fortini assediati dagli indiani dove vivono i cowboy contro il terrorismo e la dittatura. Tutto questo, dopo l'accordo con l'Iran, cambia.

Si apre un futuro in cui Netanyahu indosserà, come ha fatto in questi mesi, l'eroica casacca del dissidente, di commesso viaggiatore dell'accordo definitivo che dovrà essere ricontrattato fra sei mesi, in cui Bibi pretende la distruzione del programma nucleare.

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