Romney non vince ma convince Può fare il comandante in capo

Dopo il dibattito fra Obama e Romney, l'ultimo prima delle elezioni che si terranno fra due settimane, la confusione regna sovrana, il volto del vincitore è velato, i sondaggi raccontano ciascuno la sua novella. Al momento non c'è più uno sfidante e uno sfidato, anche il linguaggio corporeo dei due è confuso: Obama è andato teso come un gallo da combattimento allo scontro sulla politica estera, proteso dalla sedia scrutava ogni battito di ciglia, ogni parola del rivale e attaccava di continuo; Romney ben accomodato in poltrona, un inamovibile sorriso etrusco sulle labbra, ha usato uno studiato tono presidenziale, ha ripetuto la parola «pace» all'inizio, alla fine, nel mezzo. Un po' troppo. Quieto, pacato, tutto il contrario del guerrafondaio che i nemici descrivono. Alla fine della discussione, i sondaggi della Cnn ci dicono che Obama ha vinto col 48 per cento e Romney ha solo il 40 per cento dei consensi. Ma un altro sondaggio dice che per il 60 per cento degli americani Romney potrebbe essere il migliore commander in chief, cioè capo di stato maggiore, ruolo che spetta al presidente e che per il Paese meglio armato e più insidiato del mondo è uno dei più importanti. In genere, il dibattito di esteri è poco determinante, lo sfidante conta sul fatto che sia rimasto impresso il Romney del primo dibattito, quello che vuole riportare l'America ad essere florida e imponente. Per questo, Romney ha giocato da avaro, trascinando ogni argomento verso l'economia. Insomma, è andato all'incontro con una strategia astuta anche se deludente per chi avrebbe voluto vedere Obama messo di fronte alla sua evidente insufficienza in politica estera, alla perdita di prestigio degli Usa, agli errori compiuti con le rivoluzioni arabe. Ma Romney ha lasciato correre dapprima le bugie e gli errori dell'amministrazione sull'assassinio di Christopher Stevens, l'ambasciatore Usa in Libia. È abilmente scivolato via dall'immagine di un tipo aggressivo con tendenze guerrafondaie. Parecchie volte, nonostante ne avesse l'occasione, è svicolato dalla polemica diretta, ha detto di essere d'accordo con Obama sulla scelta di sostenere la piazza araba, ha evitato di pronunciarsi su un eventuale intervento israeliano contro il nucleare iraniano, si è congratulato per l'uccisione di Bin Laden, ha approvato l'uscita dall'Iraq e il confuso abbandono dell'Afghanistan. Romney si è infilato nella politica estera dolcemente, evitando gli scogli di una materia che importa poco agli americani, mentre Obama ci è andato giù pesante: ha attaccato frontalmente Romney sull'Iraq, sulla Cina, sulla Russia e su Israele toccando argomenti personali, tentennamenti, errori... finchè Romney gli ha ricordato che non era lui l'oggetto del dibattito, ma la politica estera. Obama ha avuto una battuta felice quando Romney lo ha attaccato sui tagli al budget della difesa sostenendo che gli Usa non hanno mai avuto un numero di navi così ridotto dal 1916. Qui Obama ha detto che l'esercito non ha più nemmeno la cavalleria e ha fatto ridere tutti.
Lo scontro vero c'è stato in coda, sulla visione generale del futuro, giocata tutta sul Medio Oriente, su Israele e sull'Iran, oltre che sul finanziamento all'esercito. Per Romney, un Obama irresponsabile ha messo in forse l'«eccezionalità» dell'America assumendo un atteggiamento di scusa, combattendo poco la jihad e il terrorismo, accettando tipi strani come Chavez. Ha sì ucciso Bin Laden, ma non ha sconfitto Al Qaida. L'America, ha detto Romney nella sua più felice battuta, non ha nulla di cui scusarsi, non ha mai cercato di sopraffare, ha invece portato la libertà al mondo. Obama ha accusato Romney di incostanza nelle opinioni, di confusione, di interessi personali. La mia politica mediorientale, ha detto, è la difesa dei diritti umani, cerchiamo di affossare Assad, non accetterò l'atomica iraniana... ma è difficile trovare un riscontro di queste affermazioni.

Di fatto, ha ripetuto Romney, l'Iran è oggi quattro anni più avanti con le centrifughe, opprime i suoi cittadini e sponsorizza il terrore, e continuerà se non cambia il presidente. Obama si è detto il migliore amico di Israele ma, gli ha ricordato Romney, «hai visitato l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Turchia, e hai schivato Israele».

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