Sarkozy senza scudo inseguito dai giudici

L’ex presidente rischia di finire presto alla sbarra in due processi. E ci sono nuove tegole in arrivo

Sarkozy senza scudo  inseguito dai giudici

«Ha usato metodi autoritari, brutali, e ha consigliato o obbligato i suoi amici a spingersi persino oltre. Ha utilizzato e abusato degli strumenti della democrazia nel suo solo interesse». È impietoso il giudizio su Nicolas Sarkozy affidato al Giornale da Gérard Davet, il giornalista del Monde spiato dai servizi segreti francesi e dalla polizia mentre stava indagando sull’ex presidente e sui presunti finanziamenti illeciti della campagna elettorale che nel 2007 lo portò all’Eliseo. Per il reporter finito nel mirino del potere in pieno «sarkozysmo», con la bocciatura alle urne dell’ex capo di Stato si chiude non solo un’era politica, ma anche un incubo personale e professionale. Dalla mezzanotte del 15 giugno Nicolas Sarkozy, sarà sì «un francese tra i francesi» - come ha annunciato lui stesso nel giorno della sconfitta - ma sarà soprattutto un francese tra i francesi in tribunale. Un mese dopo il passaggio di consegne a François Hollande, per l’ex capo di Stato cade l’immunità prevista dall’articolo 67 della Costituzione, in base alla quale la più alta carica dello Stato «non può, durante il suo mandato e davanti ad alcuna giurisdizione o autorità amministrativa francese essere chiamato a testimoniare né essere oggetto di un’azione, di un’indagine, di un atto di istruzione giudiziaria o di citazione». Dal 15 giugno cade lo scudo giudiziario e cominciano i guai.

Non sono poche le rogne che attendono monsieur Sarkò. «Rischia di essere convocato dai magistrati nell’ambito di due dossier, Karachi e Bettencourt, entrambi relativi al finanziamento della vita politica, rispettivamente alle campagne elettorali del 1995 e del 2007», spiega Davet. Nel primo caso sul piatto c’è un giro di tangenti legate alla vendita di sottomarini al Pakistan, soldi usati nel ’95 per sostenere Édouard Balladur contro il rivale Jacques Chirac alle presidenziali. Allora Sarkò era portavoce del capo del governo e ministro del Bilancio, firmava cioè i contratti col Pakistan dietro i quali si celava il giro di tangenti. Nel secondo caso, l’affaire Bettencourt, il più minaccioso a breve termine, si sta procedendo per frode fiscale e finanziamento illecito, nel cui filone finanziario è finito sotto processo Nicolas Bazire, braccio destro dell’imprenditore Bernard Arnault, testimone di nozze di Sarkò nel matrimonio con Cécilia. La campagna elettorale del 2007 sarebbe stata finanziata illegalmente dalla miliardaria francese Bettencourt, la cui infermiera ha riferito a un magistrato (fuori dal processo) di aver «visto consegnare denaro contante nelle mani di Sarkozy», allora ministro degli Interni. Mazzette vere e proprie, ritirate di persona. Alla sbarra è finto Éric Woerth, ex tesoriere dell’Ump ed ex ministro del Lavoro e delle Finanze, anche lui fedelissimo di Sarkò. E ora rischia di aprirsi anche un filone libico: a spingere l’ascesa gloriosa di Sarkozy all’Eliseo sarebbe stato anche il regime di Tripoli poi seppellito a colpi di bombe da Sarkò presidente. «Tutti i suoi amici sono perseguiti dalla giustizia e tutti gli uomini che ha messo al potere hanno utilizzato le loro responsabilità per scopi di parte», aggiunge il giornalista Davet, autore di «Sarko m’a tuer» (errore d’ortografia voluto), in cui denuncia i metodi autoritari del presidente.

Dalle mazzette del Pakistan a quelle di madame Bettencourt. «In questi due processi Sarkozy rischia ora l’incriminazione». Dal banco dei testimoni a quello degli imputati. «Ma c’è un ostacolo. La sola autorizzata a indagare sui ministri - spiega il giornalista del Monde Davet - è la Corte di giustizia della Repubblica (CJR). I giudici aspetteranno che Hollande la sopprima altrimenti dovranno cederle i loro dossier». Fra i quali potrebbe aggiungersi a breve quello sul contratto chiuso dall’Eliseo nel 2007 con un istituto di sondaggi, la società Publifact di Patrick Buisson, consigliere politico dell’ex presidente.

Quanto basta per far dire a Davet: «La Francia resta una democrazia i cui

strumenti, polizia e giustizia, sono stati utilizzati da Sarkozy in un solo interesse». Si attende di vedere se Hollande - come ha dichiarato - farà davvero in modo che il presidente diventi «un cittadino come gli altri».

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