Un compañero? Uno del pueblo, come los otros? Un verdadero democratico, Fidel Castro? Ma non scherziamo. Balle buone per i gonzi. Una leggenda alimentata dall'ufficio «fide y propaganda» della chiesa comunista cubana. Soavi fesserie servite per tenere in piedi il mito del lider maximo, e buono il popolino che ancora si scarrozza con le auto che in America andavano di moda al tempo in cui Elvis Presley cantava Love me tender e Doris Day furoreggiava con Perhaps, perhaps, perhaps.
Come Stalin e Ceausescu, Gheddafi e Saddam, il compagno Fidel è vissuto come un pascià, un monarca assoluto, predicando austerità (agli altri, fatti fessi e tenuti a essere fedeli alla linea) e godendosela fra agi e lussi che neppure il più feroce capitalista di Chicago o di Miami. Ecco il ritratto inedito, ma mica tanto, che del dittatore cubano fa una delle sue ex guardie del corpo, Juan Reinaldo Sanchez, nel libro La vita nascosta di Fidel Castro, scritto col il giornalista francese Axel Gylden e in uscita il prossimo 28 maggio per le edizioni Michel Lafon. Yacht superlusso, l'Aquarama II, quattro turbine di fracassante potenza avuto in dono a suo tempo dal buonanima Leonid Brezhnev quando la Russia si chiamava ancora Urss. E poi isola privata, piste da bowling e campi da basket privati, due donatori di sangue al seguito perché non si sa mai, e femmine a gogò, naturalmente, senza di che in fondo non si capisce a che serva lo scettro del comando, come sanno tutti i latinos del mondo.
«Contrariamente a quello che ha sempre raccontato, Fidel non si è mai sentito obbligato a seguire l'austera vita del buon rivoluzionario - si legge nel libro - e non ha mai rinunciato ai comfort offerti dal capitalismo». Tipo l'isola privata di Cayo Piedra, a sud della Baia dei Porci, dove Fidel si crogiolava in compagnia di ospiti scelti, come Gabriel Garcia Marquez, il compianto Hugo Chavez e tutti i mammasantissima del sinistrismo internazionale. Ossessionato dall'incubo di finire vittima di un attentato, come ogni dittatore che si rispetti, «Castro non andava mai da nessuna parte senza due donatori di sangue e almeno dieci guardie del corpo». Ma siccome chi fa da sé fa per tre, non c'era volta che, trascorrendo tra la folla plaudente a bordo della sua Mercedes presidenziale, Fidel non tenesse tra i piedi una fiammante pistola semiautomatica col colpo in canna. Tra le guardie del corpo, una in particolare doveva segnare ogni cosa che il leader faceva o diceva su un blocco di appunti». Perché, vi chiedete? «Ma per consegnare le giornate del lider alla Storia», continua Sánchez , tratteggiando il carattere di questo Faraone dei Caraibi che si fidava così poco del prossimo da far spiare perfino il suo più grande compagno di merende, il venezuelano Hugo Chavez.
Di tutto questo, naturalmente, i cubani non hanno mai saputo nulla. Né si è mai dato giornalista così spiritoso, sull'isola, da accettare il rischio di una gita al largo su una svelta vedetta dei Servizi segreti, viaggio di sola andata, giusto per il gusto di sputtanare il Capo.
«Fino agli anni Novanta non ho mai fatto troppe domande su come funzionasse il sistema perché è così che fanno i bravi soldati», racconta ancora l'ex bodyguard . «Vedevo Castro come un dio, mi bevevo ogni sua parola, credevo a tutto quello che diceva e lo seguivo ovunque. Per Fidel sarei morto. Ma poi ho capito che aveva mentito», continua Reinaldo Sanchez, pretoriano per 17 anni, salvo poi cadere in disgrazia, con corredo di carcere e torture, quando chiese di andare in pensione. «Per Fidel la ricchezza era uno strumento di potere e di sopravvivenza politica ed era convinto che Cuba fosse di sua proprietà», conclude l'oggi sessantacinquenne Sanchez.
Uscito dal carcere, l'ex gorilla di Castro riuscì a raggiungere fortunosamente gli Stati Uniti nel 2008, l'anno in cui Raul Castro prese il potere dopo il ritiro dalla ribalta del fratello nel 2006. Ma c'è voluto un bel po' di tempo prima di convincersi a vuotare il sacco.
Si dirà: ma è vera tutta questa roba? Possibile che di questi retroscena non si sia mai saputo nulla? La risposta è quella di sempre. Si è mai saputo nulla, pima che le loro teste rotolassero nella polvere, della vita privata di Saddam Hussein, o di Ceausescu, o di Mao Tse Tung? Quanto all'autore del libro, lui dice di aver controllato - per quanto è stato possibile, certo- ogni affermazione del compagno pentito.
Un racconto che fa a pezzi la vulgata internazionale del compagno Fidel , «che con il suo stile di vita ha detto il giornalista Axel Gylden al Guardian- non contraddiceva solo le sue stesse parole, ma la sua stessa psicologia e le motivazioni che lo muovevano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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