
Magari diventasse realtà il sogno di Antonio Tajani di un libero mercato senza dazi e frontiere che comprenda Europa e Nord America. Saremmo tutti felici. Purtroppo, a guardare l'andamento delle borse tutte verso il precipizio, siamo entrati in un incubo che potrebbe mettere a rischio (lo scrive il conservatore Wall Street Journal e non il progressista New York Times) il primato degli Stati Uniti nell'economia mondiale. Con i dazi di Donald Trump la guerra commerciale è cominciata e non si può mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Qualcuno pensava che scherzasse, che fosse un pesce d'aprile, che non colpisse l'amico dell'amico, ed, invece, ora le minacce sono diventate realtà. Il 20% di dazi all'Europa non è poco.
E vista la postura assunta dal Presidente USA che considera i paesi Ue, per usare un'espressione gentile, dei «profittatori» una risposta sia pure meditata e non di pancia, comunque va data. Anche perché nella strategia di Trump non c'è solo economia ma anche tanta politica, interna e estera. Negli States The Donald per avere consenso agita il drappo rosso di fronte all'America dimenticata, quella dei lavoratori rimasti senza lavoro o dei settori in crisi (vedi l'acciaio e l'automobile) penalizzati dalla concorrenza straniera. Ammalia ed eccita quel mondo rappresentando i dazi come la loro vendetta verso chi gli ha tolto il lavoro. All'esterno l'inquilino della Casa Bianca, invece, con quella tabella dazi da infliggere ai diversi paesi del mondo illustrata solennemente nel giardino della Casa Bianca, disegna una nuova geopolitica. A noi interessa, soprattutto, quello che pensa dell'Europa: ebbene, non la considera una Unione, ma la desidera divisa. I dazi sono l'arma di pressione per far scoppiare le contraddizioni del vecchio continente che non sono poche.
La sua è una visione del mondo che difficilmente muterà: è la dottrina Trump. Per cui potrà aggiustare la tattica, ma la strategia di fondo resterà. Ecco perché l'Europa di fronte ad un'arma di pressione che punta a metterla in difficoltà, deve inventarne un'altra che faccia emergere le contraddizioni dell'amico americano. Lasciamo stare chi gigioneggia sul ritorno alla lira come il leghista Claudio Borghi in un tweet. È, invece, ragionevole immaginare - ne hanno parlato ieri a Palazzo Chigi - una risposta che non si riduca ad una battaglia dazi contro dazi visto che da molte analisi economiche emerge che faremmo male anche a noi.
L'importante è che sia una risposta che abbia un unico soggetto, un unico attore, l'Europa, proprio quella che non vuole Trump. Una Ue che salvaguardi i suoi interessi, che metta in campo una dottrina uguale e contraria all'America First di Trump, una sorta di Europe First che imponga a Washington un negoziato paritario. In questa logica una funzione di mediazione e di appeasement della Meloni verso Trump a nome dell'Europa e non in uno schema bilaterale USA-Italia, avrebbe senso. Come sarebbe giusto cogliere l'occasione per spazzare via i lacci e laccioli che creano problemi alle nostre imprese dentro la UE, a cominciare da una revisione del Green Deal che nell'epoca dei dazi rischia di trasformarsi da occasione in problema per l'Europa.
Ma l' arma di pressione vera, quella che potrebbe funzionare, è colpire la «constituency» finanziaria che si è stretta attorno a Trump. Quella foto di famiglia con i leader della «big tech» che aveva accanto nel giorno dell'insediamento. Avremmo anche le nostre ragioni: se sull'import-export tra Usa e Europa annoverassimo pure i servizi, cioè i guadagni che aziende come Amazon, Google, X, etc. oppure America Express, Visa, fanno da noi, la bilancia segnerebbe un vantaggio per gli Stati Uniti. Per loro l'Europa è un mercato senza concorrenza perché non hanno competitor degni di questo nome. E godono di tanti benefici derivanti da una deregulation inerziale. Sono loro «i profittatori». Nel Parlamento di Strasburgo come in quello italiano non sono pochi quello che accarezzano l'idea. «Per loro - sbotta il forzista Cattaneo - l'Europa è un paradiso fiscale». L'importante è spingere quel mondo a fare pressione su Donal Trump.
«Non ci sarebbe bisogno neppure dei dazi - ironizza il responsabile economico del pd Misiani - basterebbe scrivere un regolamento di diecimila pagine per autorizzare la loro attività nella Ue. La nostra arma finale sarebbe la burocrazia di Bruxelles». Non male: burocrazia europea contro dazi. Non si sa chi può far più male.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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