Evviva, ora la giustizia si può riformare

Dalla riabilitazione di Ottaviano del Turco al compenso di Celentano, gli Sgarbi settimanali

Evviva, ora la giustizia si può riformare
Allo stato della questione, e do­po la riabilitazione de L’Unità e la sorprendente posizione as­sunta da Luciano Violante, non posso non compiacermidi ricordare che io, pubblicamente, proprio su questo Giornale , fui il primo, e credo l’unico, ad avere sostenuto l’inno­cenza di Ottaviano Del Turco.

Con più prudenza lo scrisse su Il Rifor­mista anche Antonio Polito, che ora ritor­na con maggiore convinzione sull’argo­mento con un articolo sul Corriere. Sap­piamo com’è andata a finire. Non soltan­to per il povero Del Turco, liquidato, can­cellato, rinnegato dai colleghi dello stes­so partito di cui era stato fondatore, il Pd, ma anche per il governo della Regione, per la seconda volta «smontato» dal­l’azione della magistratura, per essere reinsediato sotto opposto segno politi­co.

In questo caso il magistrato non ha col­pito soltanto un individuo, ma ha pesan­tement­e condizionato il voto democrati­co e la politica di una Regione. Ora Violan­te chiede che il magistrato che sbaglia pa­ghi, anche in considerazione degli effetti negativi che possono derivare da un’in­chiesta sbagliata, e determinata dall’arbi­trio di uno solo. La convinzione di Violan­te va nel senso del referendum sulla re­sponsabilità dei magistrati e della norma votata giovedì alla Camera, col dispetto del suo partito o, almeno, dei suoi vertici. Ma uno dei benefici effetti del nuovo Governo è proprio di avere smarcato la questione giustizia, oggettivamente indi­lazionabile, da una questione personale di Berlusconi. Ridotti i suoi processi a sin­goli episodi, restano i comportamenti anomali, abnormi, spesso criminali, di magistrati senza regole. E trovare final­mente Violante, che ne aveva già dato se­gnali, su questa posizione spinge i rigurgi­ti giustizialisti alla Di Pietro nell’ambito della barbarie giuridica.

Chissà che, processati per i loro reati, i giudici siano più attenti nel valutare quel­li degli altri.

Onore al compagno del Turco, delica­to e sensibile pittore.

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Continuando a incontrare persone, pronte a tutto, che si proclamano cattoli­ci praticanti, ho pensato che io sono un cattolico praticato.

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Viste all’aeroporto di Fiumicino nume­rose cinesi con il volto coperto fino agli oc­chi­ mandorle indistinguibili da vistose mascherine igieniche che le rendevano irriconoscibili. Allora perché ostinarsi a proibire il burqa alle donne musulma­ne? Per motivi di sicurezza? E le cinesi so­no più sicure?

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Emmanuele Francesco Maria Ema­nuele ha fatto e fa molto per l’arte italia­na, anche contemporanea. È certamen­te per questo che il ministro Ornaghi lo ha voluto come suo rappresentante nel cda della Biennale di Venezia. Avendo dato prova di appassionata competenza e di attivismo, Emmanuele ha accettato con entusiasmo. Trasformato in bellico­sa indignazione al primo consiglio, dove Emmanuele si è scontrato con la conce­zione monocratica del presidente Barat­ta. In una sola ora, senza contraddittorio, e con la svagata presenza degli altri mem­bri, molti istituzionali (il sindaco di Vene­zia, il presidente della Regione Veneto e il presidente della Provincia) Baratta, senza confrontare proposte e curricula, ha indicato i nomi dei candidati da lui scelti per i diversi settori e subito eletti con il solo voto contrario di Emmanuele. Il quale si aspettava una variata offerta e si è trovato sconfitto quasi senza combat­tere, lasciato solo da autorità abuliche e passive.

Posso immaginarne la faccia, dall’en­tusiasmo alla delusione; e ne conosco l’ir­ritazione che non mancherà di determi­na­re un vero e proprio terremoto nell’am­ministrazione di un Ente, come la Bien­nale, tutto meno che autonomo, e sem­mai ribelle al suo azionista di maggioran­za, che è il ministero dei Beni Culturali.

Baratta ed Emmanuele sono destinati allo scontro: uno è un condottiero, pieno di Balentìa , l'altro è imperturbabile e ine­sorabile come una tartaruga.

La gara fra i due evocherà, propriamen­te, il paradosso di Zenone: quello, appun­to, di Achille e la tartaruga.

E la distanza fra il velocissimo e la len­tissima appare già una voragine.

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Celentano, ovviamente, e anche con il nostro stimolo, ha fatto il giusto colpo di teatro. E ha voluto evitare le figuracce di Benigni indicando analiticamente i desti­natari del suo non immeritato ma esage­rato compenso.

Non ci sembra elegante non condivide­re l­’offerta alle città scelte con indiscutibi­le arbitrio da Adriano, anche se natural­mente ci dispiace che non abbia scelto anche Salemi, la Prima Capitale d’Italia, di cui io sono sindaco, per amicizia, rico­noscenza e piacere di polemiche che ci hanno talvolta, anche irragionevolmen­te, contrapposto.

Mi permetto però, rispetto alla troppo facile e «politicamente corretta» scelta di Emergency, di suggerire a Celentano di destinare un piccolo contributo, intorno ai 20 mila euro, a un luogo che è quasi l’anagramma di Emergency, Marciani­se, piccola e dimenticata città vicino a Ca­­serta, con tante chiese belle e qualche vol­ta abbandonate. In una di esse, la Chiesa dell’Annunciazione,c’è una meraviglio­sa opera maltrattata da cattivi restauri, che ne attende uno giudizioso: la decolla­zione di San Giovanni Battista di Teodo­ro d’Errico.

Sarebbe certamente un bel gesto, e ori­ginale, che Celentano volesse dare il se­gnale dell’obbligo di non perdere una parte

del nostro glorioso patrimonio arti­stico. Nel caso potrebbe scoprire anche uno dei luoghi più belli del mondo, an­ch’esso abbandonato, la Reggia di Cardi­tello. E fare quello che molti governanti non sono riusciti a fare.

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