"È fallito il metodo ridistributivo. La strada giusta è nell'autonomia"

L'economista e filosofo disegna lo scenario post-virus: "Rafforzare il tessuto produttivo"

"È fallito il metodo ridistributivo. La strada giusta è nell'autonomia"

Lorenzo Infantino. Calabrese, economista, filosofo, Lorenzo Infantino è professore di Filosofia delle Scienze sociali alla LUISS di Roma e noto a livello internazionale per i suoi studi di ispirazione liberale. Con lui abbiamo parlato della situazione che la pandemia ha determinato nel Paese.

Professore, l'emergenza Coronavirus sta allargando ulteriormente il fossato tra Nord e Sud? I primi giorni della quarantena da Milano a Palermo tutti cantavano dai balconi l'Inno d'Italia. Ora il Sud vuole bloccare gli arrivi dal Nord e il Nord dà al Sud del razzista...

«È noto che, perlomeno nella loro fase iniziale, fenomeni come carestie, epidemie, terremoti determinano un'unificazione del corpo sociale, poiché c'è in gioco la vita di ciascuno. È la stessa situazione creata dall'esistenza di un nemico esterno. Ma è una situazione che non dura a lungo. Nel momento in cui il pericolo allenta la sua minaccia, o in cui i vari gruppi credono di potersi mettere in salvo autonomamente, le vecchie divisioni si riaffermano. Anzi, vengono esasperate da quell'alterazione cognitiva che accompagna sempre fenomeni del genere e che fa riemergere il tribalismo che c'è in noi».

L'emergenza crea molti conflitti a livello politico e sociale. Nord contro Sud, Stato contro Regioni, Regioni contro Regioni, sindaci contro governatori... Siamo di nuovo al trionfo del «particulare»?

«Non porrei in tal modo la questione. Possiamo considerare la crescita della civiltà come una lunga lotta contro le pulsioni più pericolosamente avverse alla convivenza sociale. È una lotta che non consente pause o distrazioni, perché non c'è nulla di acquisito una volta per sempre. Condividiamo tutti la stessa condizione di fallibilità. E, per quanto grandi possano essere le acquisizioni della scienza, la nostra ignoranza rimane sempre infinita. Le vicende di questi giorni lo dimostrano ampiamente. Dobbiamo quindi essere molto attenti. Quella della contrapposizione fra Nord e Sud è una via che, una volta imboccata, può condurre solo a ulteriori divisioni e frantumazioni o, come lei dice, al trionfo del particulare. I grandi maestri delle scienze sociali ci hanno insegnato che gli uomini sono ovunque soggetti alle stesse imperfezioni e alle stesse miserie. Ciò che li migliora o che rende più produttivo il loro lavoro è l'adozione di norme di comportamento che cambiano la gamma delle possibilità e delle impossibilità di ciascuno. Se il divario fra le varie aree del Paese non è stato colmato dopo tanti anni di interventismo, ciò è dovuto all'ostinazione con cui la classe politica e le sue clientele hanno perseverato nella loro attività parossisticamente redistributiva, che produce l'opposto di quel che promette».

Il virus, con le sue conseguenze sanitarie, economiche e sociali, aumenterà la distanza tra Nord e Sud? E come?

«Bisogna pensare in termini diversi dal passato. Le logiche redistributive non hanno fin qui consentito il recupero delle aree economicamente meno sviluppate; e non lo faranno in futuro. Diversamente da quel che viene talvolta rozzamente detto, non si tratta di un'incorreggibile e genetica incapacità delle popolazioni meridionali. Un discorso del genere non è accettabile da alcun punto di vista. Bisogna avere chiare le condizioni che rendono possibile lo sviluppo economico. Occorre comprendere cioè che, nella misura in cui le politiche redistributive impediscono la crescita dell'imprenditorialità e del tessuto autenticamente produttivo, il problema non potrà essere superato».

In tutto questo, mentre Nord-Sud e Stato-Regioni si fanno la guerra, quale è il ruolo dell'Europa? Esce rafforzata o indebolita dalla pandemia? C'è anche una guerra tra partigiani del Mes contro patrioti dell'Eurobond.

«Penso che la discussione che riguarda l'Unione Europea risenta del tribalismo che ha colpito il dibattito relativo alle questioni interne. Il confronto ha avuto momenti assai poco gradevoli. È stato dominato dal tatticismo, da assurde preclusioni (l'incomprensibile rifiuto del Mes) e da esorbitanti pretese (l'immediata emissione di eurobond da parte un'Unione che non ha potestà impositiva diretta). È mancato un rilevante coefficiente di onestà intellettuale e, senza di ciò, non ci può essere quella passione civile che dovrebbe prevalere in situazioni come quella di oggi. La burocrazia europea non può piacere ad alcuno, se non a se stessa. Ma l'Europa sarà come noi vorremo. Non dipende dagli altri; dipende esclusivamente da noi. Quella europea rimane una grande idea.

Il prezzo del suo fallimento produrrebbe una situazione catastrofica, che trascinerebbe nella miseria più nera gli strati economicamente più deboli. E contro ciò varrebbero assai poco le declamazioni di una classe politica chiaramente inadeguata.

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