Per fare lo storico ci vuole la patente?

Da "dilettanti" come Montanelli, Bocca, Pansa e Monelli si impara più che dagli accademici. Sergio Luzzatto invoca l’igiene culturale contro chi fa "concorrenza sleale" ai professionisti come lui. Ma sbaglia

È una brutta espressione l’«igiene culturale» di cui parla Sergio Luzzatto nel suo Sangue d’Italia (ed. manifestolibri): ripropone la terminologia ipocrita e virtuosa di tutti i censori, in tutte le stagioni. Si tratta di ripulire gli angolini dalla sporcizia che vi si è annidata: e la sporcizia consiste nel lavoro di divulgazione storica compiuto da sfrontati giornalisti. Il Luzzatto-pensiero è ben sintetizzato nella premessa al volumetto, che raccoglie articoli pubblicati prevalentemente sul Corriere della Sera. L’autore esordisce deplorando la «concorrenza sleale» che i dilettanti di storia fanno agli storici veri, e prosegue: «In una situazione del genere, io credo che gli storici di mestiere... devono svolgere un’azione - per così dire - di igiene culturale... Un falso medico che abusi del titolo per esercitare la medicina è passibile di azione legale per millantato credito, e in ogni caso viene additato pubblicamente come un ciarlatano. Perché un falso storico che abusi del titolo per discettare sul passato dovrebbe meritare un trattamento differente?».

L’interrogativo è inquietante per tutti i divulgatori di storia: vil razza dannata alla quale mi onoro d’appartenere, per saggi a due mani e per tredici testi a quattro mani nella storia d’Italia montanelliana. Dunque sarei anch’io un ciarlatano. Mi chiedo quali autorità accademiche avessero conferito a Erodoto, a Svetonio, a Tito Livio, a Machiavelli, a Guicciardini (e ancora, per risalire fino ai nostri tempi), a Winston Churchill il diritto di narrare e commentare eventi trascorsi. Chissà se Sergio Luzzatto include tra i ciarlatani Tacito. Infatti Concetto Marchesi riteneva che l’imperatore romano fosse stato per le sue gesta diffamato, al pari di Stalin. Solo che nel primo caso la disinformazione era stata praticata da un calunniatore di talento, Tacito, appunto, e nel secondo dal rozzo Kruscev.

In realtà, stando all’impostazione di Luzzatto, non è che siano ciarlatani, esecrabili e da zittire tutti i divulgatori. Lo sono quelli non di sinistra, o che esprimono opinioni non di sinistra. Se la prende con Montanelli, se la prende con Vespa, se la prende soprattutto con Pansa. Non se la prende con Bocca, nemmeno nominato. Perché la specialità dei «moderati» o peggio ancora - già il vocabolo gli fa ribrezzo - dei revisionisti consisterebbe nel «vellicare gli istinti peggiori e la cattiva coscienza della nazione». Gli altri invece, i progressisti, s’ispiravano a sentimenti elevati: anche quando capitasse loro - ma con tutti i doverosi timbri universitari - di spiegare che il comunismo, e la versione che esso aveva avuto nell’Urss per mano sanguinaria di Stalin, rappresentavano la speranza futura dell’umanità.

Sì, Luzzatto professa un antifascismo intransigente contestando «l’argomento impiegato per mezzo secolo dagli Indro Montanelli di turno secondo cui il fascismo fu una dittatura all’acqua di rose perché in vent’anni non produsse che una manciata di condanne a morte... L’efficienza di un regime totalitario non si valuta unicamente col misurino del sangue». Pur privo di attestati universitari al di là d’una laureetta in legge, oso formulare un’obiezione: è bieca nostalgia il sottolineare la differenza tra una dittatura che fa decine di milioni di cadaveri e una che s’accontenta di una manciata? Pansa, puah! Ha ammassato nei suoi libri cose «dette e ridette, scritte e riscritte, interpretate e reinterpretate - con ben maggiore sottigliezza rispetto a quelle di Pansa - da tutti i migliori studiosi della guerra civile e dell’immediato dopo guerra». Segue la citazione dei saggisti-rispettabili, ci mancherebbe, e un paio davvero bravi - che hanno preceduto Pansa.

E allora? Esiste nella storia un diritto di primogenitura o d’esclusiva? Non mi pare. Claudio Pavone, storico un tempo comunista molto apprezzato dall’establishment accademico, pubblicò negli anni Novanta un buon libro che qualificava il tempo della repubblica di Salò come guerra civile, e dalle file degli storici professionisti si levarono esclamazioni d’ammirazione per la straordinaria scoperta. Sennonché una quindicina d’anni prima Montanelli e io avevamo titolato un volume della storia d’Italia L’Italia della guerra civile, e nessuno era andato in estasi.

Ma Pansa ha tantissimi lettori, e questo infastidisce il Luzzatto che offre la sua amichevole spiegazione: «Il lettore di Pansa è probabilmente lo stesso che tiene in casa i libri di un altro giornalista di razza, Indro Montanelli. La audience giampaolopansista corrisponde al ventre molle di un’Italia anti-antifascista prima ancora che anticomunista. Un paese felice di vedere i resistenti messi alla berlina della storia o, peggio, alla ghigliottina della morale... Un Paese felice di sentirsi ignorante, e di farsi illuminare dal Robin Hood di Casale Monferrato». Non proprio un elogio, sulle pagine del Corriere della Sera, per quei numerosissimi lettori di Montanelli che sono anche lettori del Corriere.

Sarò banale. Ma ciò che scrivono i miei amici Silvio Bertoldi e Arrigo Petacco, divulgatori pure loro - ignoro se Giordano Bruno Guerri debba essere ascritto a questa categoria, o a quella nobile degli storici - mi pare il più delle volte interessante, sensato, documentato. E sono del parere che nessun ponderoso trattato sull’8 Settembre, anche se dottamente convalidato da autorità accademiche, superi per scrittura e veridicità Roma 1943 di Paolo Monelli. Consentitemi infine una notazione personale.

Il mio Storia della guerra di Grecia è stato definito dal supplemento letterario del Times «di gran lunga il miglior resoconto della guerra italo-greca pubblicato in qualsiasi lingua». Ma di storia gli inglesi se ne intendono poco.

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