FASCISTI? NO, GRAZIE

Ripetiamo pure, per rassicurare e per rassicurarci, ciò che da mesi andiamo con convinzione dicendo. Ossia che gli italiani non sono il popolo razzista di cui troppi favoleggiano e che i rigurgiti fascistoidi appartengono a una minoranza infima e irrilevante della collettività nazionale. Ma i fattacci avvenuti sabato sera allo stadio di Sofia esigono, per le circostanze, per la cornice, per la forte risonanza mediatica, una egualmente forte attenzione e preoccupazione. Per la prima volta la violenza, la brutalità, l’aggressività, la volgarità cavernicole che caratterizzano alcune curve italiane si sono trasferite all’estero, per una trasferta degli azzurri. Al cui seguito s’è messo un gruppo nero, comprendente energumeni capaci di inneggiare al Duce e di bruciare la bandiera della Bulgaria (reciprocati da energumeni bulgari, ma questo non ci consola).
Si può pronosticare - ci piacerebbe tanto d’essere smentiti - che dell’episodio si impadroniranno i talebani dell’antiberlusconismo: per sostenere che gli eccessi di Sofia o d’altre parti d’Italia e del mondo derivano dall’indulgenza governativa nei confronti dell’estrema destra; che cioè i mussoliniani delle ultime leve profittano di un nuovo clima di tolleranza se non di simpatia per i nostalgici della camicia nera. Questo non è vero, anche se appartiene alla vulgata di sinistra. Ma è opportuno e urgente che la maggioranza confermi, nei detti e nei fatti, non solo la sua totale e palese estraneità alla torva sceneggiata di Sofia, ma anche la sua severità verso chi vi ha partecipato. Certe “comprensioni” - come quella che attorniò negli anni Settanta le Brigate rosse, lo annoto senza voler paragonare gli invasati del calcio agli assassini della P38 - vengono successivamente e con ragione rinfacciate a chi le ha concesse.
I teppisti devono sapere che le loro aggressioni e le loro devastazioni le pagheranno care. La rappresentanza diplomatica italiana in Bulgaria si interessa - è suo dovere - alla sorte degli ultrà individuati e arrestati dalla polizia. Ma il centrodestra per bene non deve essere associato a questi sfoghi belluini. L’ansia per la sorte di chi sta in cella è, tra le persone di buon senso, minima. Non ci sono scuse anche se Francesco Storace ne trova qualcuna. E ricorda al ministro Ignazio La Russa - indignato, e meno male - che cori simili a quelli di Sofia «li intonava anche lui da giovane». È difficile capire - ma conoscendo Storace poi ci si arriva - la razionalità di questa considerazione. Si può anche maturare. Guai se uno dovesse rimanere tutta la vita ancorato a trasgressioni e pulsioni dei vent’anni.
Storace è Storace. Ma ho qualche obbiezione anche per altre dichiarazioni di autorità più o meno alte. Rocco Crimi, sottosegretario con delega allo sport, ha sentenziato che è irrilevante la connotazione politica dell’accaduto. Irrilevante? Del Duce - esplicitamente evocato - tutto si può dire ma non che fosse e che sia politicamente irrilevante. Peggio ancora, secondo me, Domenico Mazzili che dirige da poche settimane l’osservatorio del Viminale sulla sicurezza delle manifestazioni sportive, e che così si è pronunciato: «I cori Duce Duce e il braccio teso durante l’Inno di Mameli? In Bulgaria non è reato, io non faccio il sociologo, i reati vanno attribuiti nel Paese in cui avvengono». Strano questo “io che c’entro?” dell’osservatore che smette d’osservare non appena viene superato il confine.
Per il ministro dell’Interno Roberto Maroni abbiamo molta stima. Ma come deterrente verso gli scatenati di Sofia, la promessa di sottoporli al divieto d’assistere ad avvenimenti sportivi non pare gran che.

Faranno le vittime, e magari oltraggeranno, inneggeranno e meneranno le mani fuori dagli stadi. Bisogna tenerli sotto sorveglianza stretta: questo è almeno il parere che gli italiani hanno in maggioranza. Bulgara.
Mario Cervi

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