La Filarmonica adesso punta su Arild Remmereit

Mendelsshon, Haydn e Schumann nel concerto di questa sera del giovane norvegese

Elsa Airoldi

Torna Arild Remmereit, il giovane norvegese (è del '61 e poco più di quaranta per un direttore sono pochi) cui toccò in sorte il podio di Muti lo scorso aprile, a pochi giorni delle clamorose vicende che portarono il direttore alle dimissioni.
Il biondo Arild era il primo della lunga serie che sarebbe seguita. E faceva un certo effetto cercare affannosamente su internet un nome che la Scala aveva recuperato in dodici ore o poco più. Remmereit si precipitò direttamente dall'aeroporto all'Abanella. Non modificò il programma (la Tragica di Schubert e l'oratorio beethoveniano Cristo sul Monte degli Ulivi), ebbe coraggio e fortuna. L'orchestra andò bene. In buona parte grazie ad un fai-da-te teso a dimostrare la bontà di un'autogestione che garantiva la qualità anche senza l'apporto del «tiranno» appena deposto.
Poi l'acqua è passata sotto i ponti. Sono arrivati altri giovani e altri sconosciuti. La Filarmonica ha avuto un calo, s'è ripresa, ha trovato un presidente e varato il nuovo cartellone. Continua a ribadire la decisione di rimanere per un periodo senza direttore musicale. Cose dette, scritte e soprattutto commentate. Quanto ad Arild, che solo a noi pareva tanto sconosciuto, se la direzione artistica del teatro che gli ha appena affidato Gli Stivaletti lo chiama anche per la nuova serie di Sinfonici (oggi, sabato e lunedì) avrà le sue ragioni.
Del resto il curriculum lo dice presto e variamente applicato alla musica (a sei anni il piano, a otto la tromba, più in là la fascinazione del jazz e, dal 1987, il trasferimento nella sacra Mecca viennese. Con diplomi vari a Vienna e Oslo). Segue una carriera di tutto rispetto che non omette master class con Mehta, studi con Bernstein, mansioni di assistente di Myung-Whun Chung e Mariss Jansons. Il podio di Wiener e Münchener e (sua specialità?) la dignitosa sostituzione in extremis di Rafael Frübeck de Burgos, Antonio Pappano e appunto Riccardo Muti. Il resto come da routine. Diciamo pure ottima routine.
Il sinfonico Scala di Remmereit prevede Mendelsshon, Haydn e Schumann. Del primo le trasparenze marine e le nordiche inquietudini di Die Hebriden op.26. Del padre di tutto, sinfonia inclusa, la n.49 in fa minore, La Passione. Scritta nel 1768 la pagina, come altre coeve, risente degli umori protoromantici dello Sturm und Drang: impianto in minore, dissonanze, tensioni. Sebbene basso continuo affidato al cembalo e apertura con un Adagio, secondo la formula della vecchia sonata da chiesa, basterebbero ad indicare il legame alla tradizione. Dopo l'Adagio l' Allegro, il Minuetto e il Finale.
La prima esecuzione della Sinfonia n.1, La Primavera, di Schumann avviene al Gewandhaus di Lipsia nel marzo 1841 sotto la direzione (provvidenziale) di Mendelsshon.

Suggeriti da un poema di Böttger i quattro movimenti portavano titoli specifici: Risveglio della primavera, Sera, Compagni di Giochi, Addio della Primavera. In questo Schumann il proposito di mantenere la dialettica bitematica della forma-sonata è prevaricato dalla prepotenza espressiva dei singoli episodi. Compiuti in sé e ribelli all'elaborazione.

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