Filippine, prete italiano rapito da ribelli islamici

Don Giancarlo Bossi stava andando a dire Messa, a bordo di una motocicletta, quando una decina di uomini armati lo hanno fermato e preso in ostaggio. Subito dopo il missionario italiano è stato caricato su un’imbarcazione, che si è allontanata a tutta velocità verso una destinazione sconosciuta. Il sospetto più grave è che i rapitori facciano parte di uno dei gruppi oltranzisti islamici che infestano le Filippine meridionali e si sono già distinti nel campo dei sequestri. Nella zona di Zamboanga, dove don Bossi fa il missionario dal 1980, lo chiamano «il gigante buono».
Nato 57 anni ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, oltre a pensare alle anime si preoccupa se hanno da mangiare e di aiutarle nei problemi materiali della quotidiana vita di povertà sull’isola di Mindanao. Un’isola dell’arcipelago filippino a maggioranza musulmana, dove il separatismo islamico e l’emulazione di Al Qaida si mescolano a banditismo e delinquenza comune.
Il sequestro è avvenuto alle 9,35 di ieri mattina, ora locale, nei pressi del villaggio di Bulawan, dove il religioso del Pontificio istituto missioni estere (Pime), si recava da qualche tempo per dire messa in una parrocchia francese. «Si sospetta che possa essere stato sequestrato da un gruppo separatista islamico. Del rapimento sono già state avvertite liambasciata italiana, liunità di crisi della Farnesina e i familiari» ha dichiarato il Superiore generale del Pime, Giambattista Zanchi. E ieri mattina Papa Benedetto XVI ha lanciato un accorato appello, davanti a 50mila fedeli riuniti in piazza San Pietro, poche ore dopo il sequestro di padre Bossi, per la liberazione di tutti i rapiti. «Mi giungono purtroppo di frequente - ha detto il Papa dopo l’Angelus - richieste di interessamento nei confronti di persone, tra le quali anche sacerdoti cattolici, tenute sotto sequestro per diversi motivi e in varie parti del mondo. Porto tutti nel cuore e tutti tengo presenti nella mia preghiera (…)».
Il mandante del sequestro nelle Filippine sarebbe Aka Kedie, un comandante rinnegato del Fronte islamico Moro di liberazione nazionale (Milf), una delle formazioni separatiste filippine che agisce nel sud dell’arcipelago. Il primo a puntare il dito contro i miliziani islamici è stato il colonnello Godofredo Paderanga, che ha dato la notizia del rapimento.
Il portavoce del Fronte Moro, Eid Kabalu, ha subito negato ogni coinvolgimento sostenendo che i sequestratori «non appartengono al Milf». Inoltre l’ala ufficiale del movimento islamico ha dichiarato di essere pronta «a offrire tutto il nostro aiuto alle autorità filippine» per ritrovare il missionario rapito. Padre Bossi è il terzo sacerdote italiano rapito nel sud delle Filippine dopo Luciano Benedetti nel 1998 e Giuseppe Pierantoni nel 2001. «Non aveva ricevuto minacce di alcun genere, era amato dalla popolazione e lui stesso, circa un mese fa, si diceva tranquillo per il suo operato», ha spiegato all’agenzia di stampa dei missionari, Asia News, padre Gianni Sandalo, responsabile del Pime nelle Filippine.

Un altro missionario, citato in forma anonima dall’agenzia Misna, propende per la pista del lauto riscatto. «Dopo le elezioni del 14 maggio scorso è facile che qualcuno abbia promesso soldi e voglia in qualche modo recuperarli».

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