Un film che racconta un pezzo di storia ma non entrerà nella storia del cinema

Il regista «assolve» Valenti dall’accusa di torturatore, ma infila alcune sviste

da Cannes

La Repubblica italiana diede mezzo secolo fa la pensione per le vittime di guerra alla madre dell’attrice Luisa Ferida, assassinata trentunenne quando era incinta a Milano. Era la fine d’aprile 1945: contro lei e l’amato Osvaldo Valenti, attore anche lui, spararono partigiani socialisti per ordine di Sandro Pertini.
I due cadaveri furono visti all’obitorio da un ufficiale del Regio Esercito appena giunto con un reparto americano. Aveva comandato, fino a due anni prima, le isole di Lérins, davanti a Cannes, e si chiamava Gualtiero Jacopetti. Ha poi raccontato che lei giaceva con una scarpa nel sesso e che lui aveva un occhio sulla fronte. Orrori di guerra civile.
Ora però anche il cinema della Repubblica italiana assolve la Ferida e Valenti dall’accusa d’aver torturato i prigionieri della polizia parallela del capitano Koch, durante l’estate 1944, a Milano. Lo fa con Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana. E che il film sia stato presentato ieri al Festival di Cannes come «evento speciale» unisce all’assoluzione italiana quella del cinema mondiale. Basterebbe questo per rispettare l’antifascista Giordana, che per oltre vent’anni ha coltivato il progetto di questo film, uscito dopo la morte dei co-sceneggiatori.
Sanguepazzo - titolo di un film che Valenti avrebbe voluto girare - è pensato come un film tv per il pubblico generalista, ignaro degli eventi. La sua prima qualità è la credibile recitazione di Luca Zingaretti, all’ennesima interpretazione di fascista o neofascista. A-fascista, tossicomane, giocatore d’azzardo, coltissimo per il suo mestiere, Valenti entrò nella Decima Mas contro quelli che erano stati fascisti fino al 25 luglio 1943 diventati antifascisti la mattina dopo. Una ripicca, più che una militanza.
Invece la Bellucci, lì forse per garantire l’uscita del film in Francia, ha vent’anni più del suo personaggio quand’era emergente e dieci di più del suo personaggio quand’era morente. Altri difetti di Sanguepazzo - dopo l’improbabile evocazione, invidiosa, delle riprese di Roma città aperta da parte di chi aveva preso la via di Venezia e del «Cinevillaggio» della Rsi - è aver fuso quattro personaggi in due.
Il produttore Francesco Salvi, primo amante della Ferida, e il direttore generale delle cinematografia, Luigi Freddi, danno il personaggio di Luigi Diberti; il regista Luchino Visconti e il partigiano Taylor danno il personaggio di Alessio Boni.

Ma perché mandare Visconti/Taylor vestito da ufficiale dell’esercito tedesco, anziché dell’aviazione italiana, a prelevare la Ferida su richiesta di Valenti, che si era già consegnato ai partigiani? Poi ci sono le sviste: Cinecittà in funzione già nel 1936; far dichiarare la guerra da Mussolini nell’estate, anziché nella primavera 1940 (10 giugno); presentare la Milano del 15-20 aprile 1945 con fascisti schierati di qua e partigiani schierati di là. Una faciloneria che Giordana aveva evitato ai tempi di Notti e nebbie. Ma allora qualche testimone era ancora vivo...

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