«Finalmente un giorno senza Pd»

nostro inviato S.Margherita Ligure

Né nero, né bianco. Pare tendere piuttosto al giallo, il fil di fumo che si alza dall’immancabile mezzo toscano stretto tra le dita di Pierluigi Bersani. È un filo sottile, sospeso a mezz’aria che se letto nel linguaggio cromatico della fumisteria vaticana, starebbe (e sta) a indicare che per il Pd, l’habemus papa è ancora di là da venire. Siamo insomma soltanto al collaudo della stufa sanpietrina.
Fuor di metafora, a elezioni europee ormai archiviate e ad amministrative ufficialmente ancora «aperte», ma con un risultato ufficioso già scritto in modo chiaro e forte al primo turno, il Partito democratico non può dire di avere già per certo il suo prossimo pontefice, quello pronto a sostituire Dario Franceschini quando quest’ultimo verrà ufficialmente giubilato. Il Pd può contare tuttavia su un Papa possibile e ancor prima plausibile - Bersani, appunto - se non ancora probabile. Di certo, almeno un aspirante Papa: silenziosamente in pectore per molti, pubblicamente legittimato quantomeno da Massimo D’Alema e da ultimo anche autonominato.
Ma è stato del tutto inutile, ieri, chiedere una conferma o una smentita al diretto interessato, arrivato comunque nei panni di indiscussa star dell’opposizione alla prima giornata dell’annuale appuntamento dei giovani imprenditori di Confidustria, a Santa Margherita Ligure. Un luogo e soprattutto un milieu, quello imprenditoriale, dove Bersani si trova particolarmente a proprio agio (Franceschini, atteso qui oggi, avrebbe invece già dato forfeit), dove sembra venirgli più facile dare del «tu» a chi discetta di Pil e produzione, che non a chiamare «compagno» qualche vecchio arnese di partito. «Qui c’è soltanto una parte della società - dice infatti rivolto a un pubblico indistinto, ma affinché gli imprenditori intendano -. Ma è il motore del Paese e se si rompe quel motore la macchina non va».
Sulla sua autocandidatura glissa. «Per ora non parlo, quello che ho da dire lo dirò in altra occasione. Della leadership del Pd ne discuteremo un’altra volta», taglia corto all’arrivo, infilando le sue inconfondibili «esse» liquide all’emiliana. Concede un fugace commento positivo - «molto buono», lo definisce - parlando dell’accordo che dovrebbe portare il suo partito nel gruppo socialista europeo. Tutto lì, prima di dileguarsi veloce nei meandri dell’Hotel Miramare.
Altrettanto superfluo è cercare di inseguirlo tra i prati del solarium e a bordo piscina. «Almeno oggi, un giorno senza Pd», si schermisce mimetizzandosi dietro un sorriso enigmatico che sembra voler dire più «che palle!», piuttosto che suonare come una via d’uscita diplomatica alla domanda. Poi mi assesta una manata sulla spalla e tira via, pronto a sottomettersi alle domande di Giovanni Floris nell’improvvisato Ballarò in salsa confindustriale di Santa Margherita.
«Stando così le cose, appoggio Bersani che ha la forza politica e culturale, nonchè un linguaggio ed è perfettamente in grado di fare il segretario del Partito democratico», era stato appena due giorni fa il viatico concessogli da D’Alema. E ieri lui, il 58enne responsabile economico del Pd che qualche tempo fa in un’intervista si era definito «un giovane di lungo corso che lavora per la Ditta», è parso rispondergli, sintonizzandosi sulla sua stessa frequenza d’onda anche affrontando lo scivoloso tema del giorno, quello relativo alla contestata visita di Gheddafi in Italia. «Penso che sia arrivato il momento di un clima nuovo di relazioni, costruito nel corso degli anni e concretizzato in rapporti economici», è il suo commento in proposito, pragmatico e quasi «confindustriale», con un occhio ai possibili contratti per le aziende italiane. Corredandolo con un invito, quello a «lavorare con calma e tranquillità anche quando saranno stati spenti i riflettori».
A ben guardare, la sua è un’autocandidatura annunciata. Quella possibilità di scendere in campo come segretario, l’aveva infatti già ventilata nel febbraio scorso. Ovvero in tempi non sospetti, prima del disastro elettorale.

Uomo d’azione, nonché pratico e indipendente, guarda caso come quel papa Gregorio Magno che era stato l’argomento della sua laurea in filosofia all’università di Bologna, l’ex ministro dell’Industria del governo Prodi aveva allora parlato di un personale «bisogno di esporsi» dopo aver «sentito il disamore dei nostri elettori, la loro mancanza di una prospettiva. Hanno bisogno di un punto di riferimento, altrimenti se ne vanno», aveva detto, vedendo giusto in anticipo. Troppo tardi, però, per correre ai ripari: gli elettori se ne sono già andati.

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