Esg alla cinese. Come funziona la finanza sostenibile del Dragone

Tanto sviluppo ma anche molta ambiguità: la strategia Esg cinese non manca di elementi di contraddizione

Esg alla cinese. Come funziona la finanza sostenibile del Dragone

A fine giugno anche la Cina si è data la sua prima regolamentazione sugli standard Esg propria e in grado di guidare ogni strategia di finanza sostenibile nel territorio nazionale. Esse consistono in una nuova serie di linee guida volontarie per le aziende cinesi per segnalare le metriche ambientali, sociali e di governance, offrendo un assaggio di come potrebbero essere le divulgazioni obbligatorie nel Paese.

Le attività di engagement, nell'ultimo biennio, hanno segnalato una crescente attenzione delle società cinesi per la creazione di valore attraverso svolte "green" e indicano che il 70% delle società cinesi quotate nella Cina continentale e il 97% di quelle quotate a Hong Kong ha aperto la sua rendicontazione ai bilanci di sostenibilità e pubblicato rapporti sulla percepita adesione alle logiche Esg. Ora "inquadrata" con le immancabili caratteristiche cinesi che la contraddistinguono, come la valorizzazione della filantropia aziendale propria del modello nazionale cinese.

Gli standard elencano più di 100 metriche che generalmente si allineano con il benchmark globale delle bozze di regolamentazione emesse dall'International Sustainability Standards Board, seppur in forma semplificata. Il Paese, a lungo il più grande inquinatore del mondo, sta cercando di raggiungere i principali Paesi del pianeta sulla trasparenza ambientale e dato che piazze finanziarie dominanti come Hong Kong e Singapore rendono obbligatoria la rendicontazione di sostenibilità per i settori di punta dei listini, le autorità di regolamentazione cinesi hanno incoraggiato le società quotate a segnalare le informazioni Esg per abituarsi ai mercati globali. Le attività nei fondi Esg cinesi sono raddoppiate dal 2021, spinte dalla crescente enfasi di Pechino sulla riduzione della povertà, l'energia rinnovabile e la sicurezza energetica, e guardano oggi verso un valore aggiunto generato di 50 miliiardi di dollari annui.

Secondo quanto riporta Bloomberg, le due maggiori spinte sul fronte in Cina sono legate a obiettivi complementari. Da un lato Pechino puunta la carbon neutrality, da raggiungere entro il 2060 secondo quanto messo nero su bianco al Cop26 di Glasgow lo scorso anno, e dall'altro enfatizza la spinta politica sulla ricerca dei fondamenti della “prosperità condivisa”. Questi sono ricordati dall'economista Mario Seminerio sul suo blog Phastidio come "processi di redistribuzione volti a correggere la fase dell’arricchimento degli imprenditori, accettata e di fatto promossa da Deng Xiaoping, e che ha dato vita al maggior esperimento sociale anarco-capitalista della storia recente.

Seminerio ricorda che "l’investimento etico" in senso lato, nel contesto cinese, è volto alla ricerca della neutralità di carbonio ma anche "alla sicurezza energetica necessaria a conseguirla. Di conseguenza, i fondi Esg cinesi non hanno alcun problema a tenere in portafoglio produttori di carbone, malgrado l’impatto non esattamente salubre dei medesimi". In sostanza è ancora presto per sottolineare come la Cina possa essere definita matura sotto tutti i punti di vista per consolidarsi come grande attore dell'Esg e come protagonista della finanza sostenibile globale.

Milano Finanza ricorda che da aziende produttrici di armi a titoli di Stato russi, da obbligazioni legate a Paesi autoritari a società operanti nell'oil&gas nell'Esg cinese, sempre più attrattivo su scala globale, c'è per ora di tutto. E passerà ancora molto tempo prima che possa diventare un polmone per la finanza sostenibile mondiale.

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