Alla fine anche gli inglesi leggeranno la «Storia del mondo» di Gombrich

L’eccentrico «britannico d’adozione» non volle mai far tradurre il libretto

Solo ora gli inglesi potranno vedere finalmente tradotta nella loro lingua la Breve storia del mondo, il libro giovanile di uno dei suoi grandi figli adottivi, Ernst Gombrich, che, lasciata Vienna nel ’36, riparò in Inghilterra, vi scrisse i suoi magistrali studi di storia dell’arte, divenne cittadino britannico, fu insignito del titolo di baronetto, e vi morì nel 2001 a novantadue anni.
Qual era stata la genesi di questo libro? Ernst, nel ’35, ventiseienne, da poco laureato con una tesi su Giulio Romano e il Palazzo Te, era in cerca di lavoro e un amico editore gli propose di tradurre e adattare una storia universale per ragazzi, pubblicata in Inghilterra. Sulle prime, Ernst accettò, ma il libro gli sembrò talmente brutto che s’interruppe, e decise di scrivere, lui stesso, una storia universale. Stese la sua Breve storia del mondo in sei settimane. Con uno stile piano e semplice, quasi colloquiale, in 300 pagine raccontava ai ragazzi i grandi cicli che avevano caratterizzato l’avventura umana, dall’uomo di Neanderthal al tempo in cui scriveva, i periodi di progresso e di regressione, gli eventi e i personaggi che avevano segnato il percorso del mondo, dagli egiziani ai persiani, dai greci ai latini, da Ciro ad Alessandro Magno e a Nerone, descrisse il Cristianesimo e l’Islam, e i grandi movimenti di rinascenza e d’illuminismo. Era come se, pur non potendo evitare l’inventario di tante crudeltà cui s’era macchiata la specie umana soprattutto a causa delle ideologie e delle guerre di religione, egli volesse risparmiare in qualche modo agli innocenti lettori l’orrore dei momenti più esecrandi.
Il sostrato pacifista della narrazione non piacque ai nazisti dell’Anschluss, che cassarono il libro. Non era forse un capolavoro, ma aveva goduto subito di una discreta fortuna, ed ebbe poi nel tempo una certa diffusione in diversi Paesi, oscurata naturalmente dalla sua sproporzione, per così dire, o eccentricità, rispetto ai poderosi scritti d’arte. Da noi, fino a tempi recenti, quel titolo mancava, ma la rinata Salani, con l’ammaestramento editoriale di Mario Spagnol, seppe ovviare alla lacuna, e pubblicò il libro nel 1997.
Come mai A Little History of the World compare in inglese solo ora? Il fatto è che Gombrich si sentiva così continentale, così centro-europeo, da pensare che quel libro non potesse essere capito nel suo Paese d’adozione, e all’occasione esitava ogni volta di consentire che ne venisse fatta una edizione inglese. Per quanto riconoscente e legato all’Inghilterra, pensava che gli inglesi fossero dei diversi, restassero tutto sommato dei perfetti isolani dalla mentalità centripeta.

Secondo la nipote di Gombrich, Leonie, erede testamentaria dell’opera del nonno, egli si chiedeva perché dovesse interessare agli inglesi la storia di un mondo cui si sentivano di non appartenere, loro che potevano vantarsi di non aver subito un’invasione dal 1066. Ma verso la fine della vita, le diede il suo consenso, anche se non fece in tempo ad aggiungervi il capitolo su Shakespeare che aveva in mente.

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