Fini cerca la distensione. A piccoli passi

RomaPiccoli passi in avanti, ma significativi. Gianfranco Fini lancia segnali di distensione, ben avvertiti nel Pdl. E il capitolo giustizia, pronosticato fino a pochi giorni fa come il principale terreno di scontro con Silvio Berlusconi, ora non sembra più presentare ostacoli insormontabili. Lo testimonia l’accordo complessivo sancito ieri a Palazzo Grazioli dall’intera maggioranza, compresa quindi l’ala di fedelissimi che fa capo al presidente della Camera. Abile, semmai, a convocare alcuni dei suoi a Montecitorio, in mattinata, per discutere in linea generale dei principali nodi (dal processo breve al legittimo impedimento, dall’immunità parlamentare all’eventuale riedizione di un Lodo costituzionale), ma anche per lanciare all’esterno un messaggio politico ben preciso, magari nella forma più che nella sostanza. Cioè: gli ex An si muovono compatti e si riuniscono tra loro, prima di sedersi al tavolo con cugini azzurri e alleati leghisti. Perché parlare con una voce sola - è il sottinteso - è sinonimo di forza. Forza da far valere semmai al momento giusto.
Ma è anche vero che nella riunione alla Camera, classificata forse con un po’ troppa enfasi «pre vertice» - a tal proposito si segnala la «meraviglia», tra gli altri, di Maurizio Gasparri - ci si sofferma un po’ di più, al netto di auguri di buon anno e battute sullo «stop alle bionde» annunciato da Fini, sul processo breve. Complice la presenza del relatore della maggioranza sul ddl, Giuseppe Valentino, che oggi presenterà al Senato il maxiemendamento in cinque punti, accogliendo in gran parte i rilievi dell’opposizione. Un passaggio molto gradito, a Fini, che s’intrattiene al suo piano per circa un’ora anche con Ignazio La Russa, Italo Bocchino e Giulia Bongiorno.
Ma al di là del provvedimento specifico, la terza carica dello Stato, in attesa di calendarizzare il faccia a faccia con il Cavaliere, rilancia l’auspicio verso un clima di dialogo con il centrosinistra sul terreno delle riforme costituzionali. Lo ricorda nella riunione alla Camera, lo ripete in serata a Palermo, dove vola per presentare il suo libro, Il Futuro della Libertà. «Resto convinto che si possano fare in questa legislatura», attacca Fini, che in merito all’asse con Giorgio Napolitano, spesso alla ribalta, precisa: «Non c’è un asse», ma si tratta di un’intesa su «considerazioni di elementare buonsenso, visto che alcune questioni non possono più essere eluse, pena la perdita di credibilità complessiva delle istituzioni e della politica». Andando poi nello specifico, nell’ottica della condivisione, l’ex leader di An rimarca che «sul superamento del bicameralismo perfetto, ad esempio, sono tutti concordi». Di riforme, rintuzza, «abbiamo bisogno» e «chi vince le elezioni ha il diritto e il dovere di realizzarle». Detto questo, «il Parlamento deve avere un ruolo, è in questa sede che si deve aprire il confronto tra forze politiche. O si vuole fare il dibattito solo nelle trasmissioni tv?». «Possibile», si chiede ancora, «che in questo momento si discuta sul calendario? Se cominciare alla Camera o in Senato? Oppure se costituire una convenzione? L’opinione pubblica non ci capirà mai se non usciamo da questi bizantinismi».
Chiuso il capitolo riforme, Fini affronta altre due questioni calde: il fisco e l’allarme immigrazione-lavoro nero, rilanciato dai fatti di Rosarno. Sul primo punto, afferma: «Credo che la riduzione del carico fiscale, prima ancora di una necessità economica, sia un imperativo morale, visto che quello italiano è tra i più alti in Occidente». Un dato statistico «intollerabile». Ma «se non è ben chiaro quali saranno le risorse sostitutive, necessarie per coprire la riduzione fiscale - avverte l’inquilino di Montecitorio -, allora il dibattito si riduce a propaganda». Il governo, prosegue, «fa bene a ipotizzare una riforma», purché la «filosofia» alla base sia «più incisiva» verso i redditi «medi e medio bassi».
Infine, Rosarno. «Il ministro degli Interni ha detto una cosa per quale andrebbe ringraziato», spiega Fini, ovvero che «bisogna fermare il lavoro nero, perché dietro quella vicenda c’è lo sfruttamento schiavistico di chi pensa che gli servano delle braccia da far lavorare, ma dimentica che dietro le braccia ci sono delle persone». Allora, «è giusto dire no all’immigrazione clandestina, ma bisogna dire di no anche allo sfruttamento del lavoro nero».

E alla fine dei conti, visto che «sapevano tutti che quei lavoratori erano in nero e sfruttati, bisogna chiedersi - sottolinea Fini - perché tante autorità dello Stato non hanno fatto il loro dovere, voltandosi dall’altra parte».

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