Acqua in bocca. Perché la notizia è di quelle che, per pudore, non andrebbero divulgate. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dopo mille tentennamenti, dopo aver sfogliato decine di margherite, cantilenando: «Vado», «non vado», ha deciso che non andrà.
Non andrà a ritirare il tanto ambito premio «Tridente d’Oro», che farebbe la felicità di ogni subacqueo d’eccellenza come lui. Che, anche in questa occasione, avrebbe tanto desiderato trovare la corrente giusta per risalire in palcoscenico. Sulla scia magari di Cousteau o di Maiorca.
Ma tant’è, visto e considerato il fatto e l’antefatto, non conquisterà il podio quale novello, aitante Nettuno ma dovrà accontentarsi di rimanere con i piedi per terra. Perché, tornando con i piedi all’asciutto, si è reso conto che anche sott’acqua riesce a dividere. Che semina discordia e zizzania. E che anche e persino fra i sub, abituati alle magie dei coralli e alle emozioni dei fondali, non riesce affatto ad unire ma è capace, sorprendentemente, di dividere.
Giusto per ricordare l’antefatto diciamo che Fini avrebbe dovuto presentarsi domani ad Anzio per ricevere, dalle mani del presidente dell’Accademia internazionale di attività e scienze subacquee, Francesco Cinelli e sotto lo sguardo compiaciuto del sindaco di centrodestra, Luciano Bruschini, il prestigioso trofeo. Solo che, giorni fa, non appena la notizia della scelta della giuria è stata resa di dominio pubblico, qualcuno, anzi diciamo pure più di qualcuno, frequentatore assiduo come Fini delle meraviglie sommerse aveva cominciato a mugugnare, come anticipato dal Giornale. Dal mugugno alla polemica il passo è stato talmente breve che le ragioni del dissenso, all’interno della stessa Accademia di Scienze Subacquee, sono rapidamente venute a galla. Si obiettava e si continua ad obbiettare che «Fini non abbia pienamente i requisiti di rilevanza tecnica, scientifica e creativa sportiva». E che non abbia dato nemmeno quel «contributo innovativo» fondamentale «per la promozione delle attività subacquee» che il regolamento del Premio non solo prevede, ma impone per la scelta dei candidati. In buona sostanza, secondo alcuni, secondo troppi, anche il Fini in versione muta (non nel senso di uno che non parla mai, anzi, ma nel senso di uno che indossa la muta per dedicarsi all’esplorazione subacquea) non meriti quel riconoscimento che quest’anno è giunto alla cinquantesima edizione e che, in passato è stato assegnato a personaggi mitici delle attività marine e sottomarine come Jacques-Yves Cousteau, Scott Carpenter, Enzo Maiorca, Jacques Piccard, Folco Quilici e Jacques Mayol. Già perché, tanto per ribadire il concetto, il «Tridente d’Oro», il più antico e prestigioso riconoscimento del mondo per la cultura del mare, è universalmente riconosciuto come il Nobel delle attività subacquee e da 49 anni a questa parte lo ha sempre ricevuto chi si è distinto nei diversi campi della subacquea: biologi marini, geologi, oceanografi, archeologi, medici iperbarici, tecnologi, divulgatori della stampa, della televisione, del cinema e della letteratura di ogni continente che entrano automaticamente a far parte dell’Accademia. Quindi che c’azzecca, come direbbe il suo amico Di Pietro, Fini, con tutte queste eminenti personalità? Tanto più che quella sua illegale escursione nelle acque protette di Giannutri, compiuta dal presidente della Camera giusto un paio d’estati fa, anche se seguita dalle scuse ufficiali e dalla promessa di pagare una multa, non è stata certo dimenticata da gran parte del popolo che nuota sott’acqua rispettando limiti di legge e aree protette.
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