Finita la «guerra degli assegni» tra Pechino e Taipei

La Cina respinge l'offerta di Panama e Honduras di ritirare gli ambasciatori a Taiwan per portarli a Pechino: più importanti i rapporti tra le "due Cine"

Una tregua importante è stata finalmente raggiunta nella "guerra del libretto degli assegni" tra la Cina e Taiwan. È ormai trascorso più di un anno dall'insediamento a Taipei del nuovo presidente Ma Ying-jeou, fautore di un pragmatico riavvicinamento con Pechino dopo gli anni dell'indipendentismo mascherato del suo predecessore Chen Shui-bian. Ma aveva chiesto tra l'altro ai cinesi della terraferma di porre fine all'annoso braccio di ferro tra le "due Cine", in lotta fra loro a colpi di super assegni per ottenere il riconoscimento diplomatico di quanti più Paesi sia possibile. Il fatto che nessuna delle "due Cine" riconosce ufficialmente l'altra, e tantomeno accetta che un Paese che riconosce l'una possa fare lo stesso anche con l'altra aveva fino a oggi portato a una situazione grottesca, a una gara che vedeva Pechino nettamente in testa con 171 ambasciate contro le sole 23 di Taipei. Un problema serio soprattutto per Taiwan, che non ha un seggio alle Nazioni Unite (sempre per il veto di Pechino, che invece vi è rappresentata, nei suoi confronti) e ha assoluta necessità di avere nel mondo un certo numero di Paesi alleati per poter continuare a figurare a pieno titolo nel consesso degli Stati sovrani. Cosa che le è fin qui riuscita ma spesso a caro prezzo, perché Paesi non esattamente di primo piano come lo Swaziland o il Paraguay o Palau hanno accettato lo scambio di ambasciatori con Taipei in cambio di "aiuti allo sviluppo" non indifferenti.
Ora, finalmente, la svolta. Pechino ha accettato, secondo il presidente taiwanese, la proposta di tregua, una svolta che permette a entrambi i Paesi di risparmiare denaro prezioso. Non era raro infatti che alcuni Paesi del Terzo mondo, rendendosi conto dell'importanza che venivano ad avere in questo insolito gioco diplomatico, ottenessero cospicui finanziamenti da Taiwan in cambio del riconoscimento ufficiale, per poi tirarsi indietro e bussare alla porta di Pechino qualche tempo dopo. In questi ultimi dieci anni sono stati sei i Paesi che hanno abbandonato Taipei, tra questi la Macedonia, unico "alleato" europeo se si esclude la Santa Sede.
Sembra però che alcuni "alleati importanti" come Panama ed El Salvador, che volevano cambiare cavallo dopo decenni di fedeltà alla Cina nazionalista, si siano sentiti rispondere «no grazie» da Pechino proprio perché i buoni rapporti (non ufficiali, s'intende) tra le "due Cine" pesavano di più. Ma ha mostrato soddisfazione, ma la sua strategia incontra grandi difficoltà.

Intenzionato a far tappa alle Hawaii (ossia negli Stati Uniti) durante un suo viaggio ad altri due "preziosi alleati", il Nicaragua e l'Honduras, si è subito sentito ricordare da Pechino la sua «forte opposizione a qualsiasi contatto ufficiale con Taiwan da parte di qualsiasi Paese». Ma a Taipei di pazienza, in questo gioco senza fine, ne hanno sempre dimostrata tanta.

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