Dopo quasi 90 minuti di spettacolo elettrizzante, coinvolgente, vivace e imprevedibile, le ovazioni e gli applausi non terminavano più. E saranno stati in tanti a chiedersi: «Ma Mozart avrebbe gradito?». Ieri sera il teatro Olimpico ha ospitato la prima nazionale del «Flauto magico» nell'originale lettura proposta dall'Orchestra di piazza Vittorio. L'ensamble già noto al grande pubblico grazie al film-documentario di Agostino Ferrente, presentato nel 2006 al Festival di Locarno, è stata fondata nel 2002. L'occasione della sua nascita è dovuta a una circostanza precisa: un concerto-spettacolo per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla chiusura di una storia sala cinematografica del rione. Il complesso musicale è composto da musicisti espressione di culture affatto differente e distanti. E prende il nome proprio da uno dei luoghi simbolo del multiculturalismo alla romana. Piazza Vittorio è nel cuore del rione Esquilino, senza dubbio il quartiere a più alta densità di immigrati della capitale.
Dicevamo una lettura originale del «Flauto magio» di Mozart. E non poteva essere altrimenti visto che i musicisti alternavano brani e lieder dello singspiel mozartiano con sonorità e melodie provenienti dai posti più disparati della terra. Anche la partitura mozartiana, inoltre, è stata piegata alle esigenze di una musicalità affatto moderna, dove per modernità - per fortuna - non si intende più esclusivamente la ricerca ossessiva del nuovo, ma anche - se non soprattutto - la «rilettura» delle radici culturali (e quindi musicali) adattati alla sensibilità di oggi.
Il progetto, elaborato da Mario Tronco fondatore e direttore dell'ensamble, ha una storia lunga. A proporlo fu Daniele Abbado che dopo aver ascoltato l'Orchestra di piazza Vittorio la buttò là. «Perché non provate a suonare "Il flauto magico"»? Dopo lo smarrimento iniziale Tronco e compagni ci hanno riflettuto bene. «In fondo quella di Mozart - pensò lo stesso Tronco - è una favola senza tempo. E senza confini. Anche l'ambientazione in fondo è molto sfumata».
E come tutte quelle bellissime favole che hanno perso la denominazione d'origine per divenire patrimonio dell'umanità intera, «Il flauto magico» è stato trattato dall'Orchestra di piazza Vittorio come un racconto orale che ha perso nel corso dei secoli la sua peculiarità a favori di colori e suoni locali che, senza tradirne il senso e la portata musicale, la arricchiscono di una vitalità che forse il lavoro di Mozart ha potuto avere soltanto nei primi decenni di esecuzione.
Il risultato è straordinario. Perché quello che ottiene lo spettatore è un'esperienza davvero unica dove il colore dominante è quello della felicità e della vivacità creativa.
Mentre sullo sfondo scorrono le immagini con gli acquerelli di Lino Fiorito, sul palco prendono posto i musicisti. Provenienti da Paesi lontani (Ecquador, Tunisia, Brasile, Segal, India e Cuba) e vicini (Inghilterra, Ungheria). A sinistra i fiati di oggi (tromba, sax e clarinetto). A destra gli archi (viola e violini). In fondo percussioni: oltre una tradizionale batteria anche una serie di percussioni le più diverse. E poi sempre sui lati un pianoforte (Leandro Piccioni, coautore dell'elaborazione musicale) e altri fiati «etnici». E poi ancora chitarre elettriche, contrabbasso e bonghi al centro. Insomma tutto quello che non ti aspetti da un'opera lirica del più classico dei compositori.
Allora Mozart avrebbe gradito? Direi che ieri sarebbe stato il più acceso sostenitore del lavoro. Proprio per la felicità che la musica riusciva a trasmettere a tutti (a iniziare dai musicisti).
«Il flauto magico» va in scena al teatro Olimpico di Roma fino al 26 settembre. Si tratta del primo titolo in cartellone del RomaEuropa Festival. Lo spettacolo poi sarà a Napoli dal 29 ottobre al primo novembre.
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