La Frale a Luzzatto: «Non mi sono mai auto-recensita sotto pseudonimo»

«F iges e Frale, avanti furbetti»: s’intitola così l’articolo al curaro che lo storico Sergio Luzzatto ha dedicato a Barbara Frale, ricercatrice dell’Archivio Segreto Vaticano e autrice di due volumi editi dal Mulino, I Templari e la sindone di Cristo e La sindone di Gesù Nazareno. La studiosa, che sostiene la tesi di un passaggio della Sindone di Torino per le mani dei cavalieri, è stata messa alla berlina sul domenicale del Sole 24Ore e paragonata allo storico britannico Orlando Figes: quest’ultimo ha pubblicamente ammesso di aver firmato con pseudonimo sul sito di Amazon, la più grande libreria online, recensioni smaccatamente favorevoli ai suoi libri, attaccando invece ferocemente le opere dei suoi critici. La Frale, invece, avrebbe usato il falso nome di Giovanni Aquilanti per pubblicare su una piccola rivista una recensione favorevole a se stessa. I retroscena che Luzzatto rilancia sono stati resi noti in un saggio di Andrea Nicolotti appena pubblicato sulla rivista online «Giornale di storia».
Il Giornale ha chiesto alla studiosa dell’Archivio Segreto il perché della «furbata». «Dopo la pubblicazione dei miei lavori, ho ricevuto attacchi sistematici su alcuni blog da parte di sedicenti esperti, il più accanito dei quali, Antonio Lombatti, tanto per fare un esempio, traduce l’espressione latina cum capillis canis in “i capelli tipo quelli del cane” e non “con i capelli canuti”. Tanto per far capire il livello... D’accordo con il mio editore, visto che erano in corso confronti con personalità del calibro di Luciano Canfora, ho pensato di rispondere ai blogger su una piccola rivista, Fenix, usando lo pseudonimo di Aquilanti. Mi sono divertita a farlo e ho potuto dimostrare, tra l’altro, che uno dei miei accusatori, Lombatti, si è appropriato del lavoro di Francesco Tommasi, docente all’università di Perugia, senza mai citarlo».
Frale non ritiene scorretto l’uso dello pseudonimo. «Non c’è nulla di male. L’articolo su Fenix non era una recensione del mio libro. Era piuttosto una risposta ad alcune delle critiche più assurde che ho ricevuto. Non ho scritto per esaltare me stessa né per recensire in modo cattivo opere altrui. Dunque respingo il tendenzioso paragone con il caso del professor Figes. Inoltre la rivista ha subito rivelato che Aquilanti in realtà ero io, è stato un gioco divertente che è durato poco».
Ma Luzzatto domenica è andato oltre. Entrando nel merito delle scoperte della Frale ha sostenuto che la tesi della ricercatrice, secondo la quale i templari veneravano la Sindone, si basa su «una lettura errata» di un manoscritto. Là dove la Frale aveva letto signum fustanium, traducendo «oggetto di stoffa», si doveva invece leggere signum fusteum, cioè immagine di legno. Una statua e non la Sindone. «Sono colpita da queste lezioni di Luzzatto, che mi risulta sia uno storico contemporaneo e che anche quando si occupa della sua materia non dà sempre ottima prova di sé, come dimostrano certi svarioni contenuti nel suo libro su Padre Pio. In realtà leggere quel passo come signum fusteum significa attribuire ai templari un uso del latino classico che non trova mai riscontro nella lingua usata nei documenti del processo, che ho potuto esaminare a fondo, e che mostrano invece l’uso di un latino molto più volgare. La mia rimane dunque la lettura più corretta. Ma Luzzatto e Nicolotti non possono saperlo, perché loro i documenti del processo, evidentemente non li hanno letti».


«Infine, tutti questi critici, compresi quelli che ora hanno inutilmente tentato di mettermi alla berlina, evitano sempre accuratamente di citare un altro documento originale del processo ai templari, dove si parla in modo indubitabile di quoddam lineum habentem figuram hominis, un lino che porta impressa la figura di un uomo, alla quale i templari dovevano baciare i piedi. Vediamo come faranno i miei simpatici avversari bloggers a dire che era di legno anche quella...».

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