Frattini: «Italia pronta per schierarsi al valico di Rafah»

Il ministro degli Esteri a Tel Aviv però ribadisce: «Hamas non è un interlocutore»

Frattini: «Italia pronta per schierarsi al valico di Rafah»

dal nostro inviato a Gerusalemme

Carabinieri al valico di Rafah: facile ipotizzarlo, un po' meno se si tratta di mettere in pratica la sorveglianza Ue, e italiana, al confine tra la striscia di Gaza e l'Egitto per bloccare il traffico d'armi. E così, se Berlusconi si è speso domenica tra Sharm el Sheikh e Gerusalemme garantendo l'impegno tricolore, tocca a Franco Frattini capire come concretizzare l'operazione. E dunque il ministro degli Esteri è volato ieri fino a Tel Aviv, dove ha incontrato a cena la collega israeliana Tzipi Livni e oggi, dopo appuntamento anche con Olmert e Netanyahu, sarà a Ramallah e a Kerem Shalom per un primo esame dal campo della situazione e anche per consegnare un robusto pacco di aiuti umanitari destinati a chi ha sofferto in questi giorni nella striscia di Gaza.

Compito non facile, quello del capo della nostra diplomazia. Perché una missione Ue per il controllo dei valichi (Eubam) era già stata ideata e sottoscritta nel 2005, dopo l'accordo tra l'Autorità nazionale palestinese (Anp)e il governo israeliano e sarebbe dovuta entrare in funzione. Ma il prevalere della rivolta di Hamas nella Striscia aveva congelato l'operazione. Dunque si cerca di ripartire, dopo gli scontri di questi giorni, ma chi comanda oggi a Gaza? Con Hamas, che ritiene organizzazione terroristica, la Ue non vuol discutere. E Frattini, continua a ripetere che quella fazione «non può essere un interlocutore politico visto che l'unità della Palestina è un pilastro intoccabile». E dunque come far entrare i 20 carabinieri che costituirebbero la nostra quota nella missione Ue (su un totale di 72 uomini) senza trattare con chi continua a dirsi impegnato solo e unicamente nella distruzione di Israele? E come farsi dire sì dal Cairo che, come ha spiegato il ministro, «non vuole forze armate straniere sul suo territorio»?

La diplomazia italiana spera in un'intesa - ora che le bombe dell'esercito di David (Tsahal) hanno sgominato buona parte dei lanciatori di Qassam - tra Hamas e Fatah, che porti i primi a una sorta di «acquiescenza» nei confronti delle forze d'interposizione, un po' come è già accaduto in Libano. Non a caso Abu Mazen ieri ha ipotizzato un governo d'unità nazionale.

Ma intanto occorre che Gerusalemme dia il suo ok. Che Mubarak e gli egiziani (che Frattini incontrerà domani) facciano lo stesso. Che il premier dell'Anp Salam Fayyed - oggi il faccia a faccia col titolare della Farnesina - fornisca assicurazioni sul permanere della volontà di dialogo con Israele. E che in Hamas, colpita al cuore, prevalga l'ala dialogante su quella massimalista che vorrebbe interrompere persino la tregua fresca d'avvio.

In sintesi un bel rompicapo, reso più complesso dalle ipotesi che circolano di ulteriori interventi europei miranti al controllo delle acque territoriali intorno alla striscia di Gaza che potrebbero vedere protagonista la nostra marina militare se al fragile compromesso stipulato seguisse un’intesa un po' più allargata tra le due fazioni palestinesi, tra queste e Gerusalemme e poi tra loro e la Ue più Egitto e Turchia che molto si sono spesi per raggiungere una intesa.


Frattini studia il da farsi, tenendo di conto anche la richiesta della Livni di un intervento teso alla ricostruzione da parte del G8, quest'anno a guida italiana. E intanto consegna oggi un convoglio di aiuti umanitari - sbarcato domenica a Tel Aviv - a mediatori internazionali al valico di Kerem Shalom, pochi chilometri da Rafah.

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