IL FRONTE DEL NO CON LA TOGA

È una convinzione che viene da lontano quella dei magistrati - alcuni magistrati - d’essere non servitori dello Stato cui spetta d’applicare le leggi, ma detentori di supreme verità sociali e morali. In questa versione sublimata i giudici e i Pm debbono tutelare, più di quanto faccia il Quirinale, più di quanto faccia il Parlamento, più di quanto faccia la Corte costituzionale, i supremi valori della Repubblica. Oppongono i loro dinieghi nel nome d’una sacralità del diritto e dei diritti sulla quale ritengono d’essere gli unici a potersi pronunciare.
Ho osservato che questa concezione è tutt’altro che nuova. Essa fu applicata nel 1994, con melodrammatica enfasi mediatica, dal pool di «Mani pulite», per bloccare un decreto dell’allora guardasigilli Biondi che limitava la possibilità d’arrestare chi non fosse indiziato di reati gravissimi. Il pm Antonio Di Pietro si presentò in televisione e con voce rotta annunciò le dimissioni sue e dell’intero pool. Il decreto fu ritirato. Le dimissioni anche. Adesso manca il ricorso alla sceneggiata, ma i no rimangono. Aprendo il congresso dell’Associazione nazionale magistrati il presidente Luca Palamara ne ha allineato un bel numero: alcuni stagionati, altri attuali. No al reato di clandestinità, no alla clandestinità come aggravante per chi deve rispondere d’altro, no alla superprocura contro l’emergenza rifiuti, no alla separazione delle carriere. Quanto alle correnti dell’Anm, Palamara ha detto che sono l’espressione «dei diversi modi di intendere il mestiere del magistrato». Ma quanti modi ci sono? Sarebbero gradite ulteriori delucidazioni.
Questo per l’Anm. Ma anche le singole toghe si danno da fare. Un giudice di Milano ha ritenuto «manifestamente irragionevole» la già accennata aggravante della clandestinità, un suo collega l’ha collegata a «contingenti ragioni di politica emergenziale e sicuritaria (sic!)» (Per verità in un diverso processo un diverso giudice - sempre a Milano - è stato di parere opposto, a conferma di quanto siano coerenti e certe, nell’applicazione pratica, le leggi italiane).
Un nuovo 1994? Non fino a quel punto. L’ho già accennato, non ci sono drammi in Tv, ed è una differenza positiva. Ma c’è anche, a mio avviso, una differenza peggiorativa. I giudici «redentori» di «Mani pulite» si sentivano interpreti e guide d’un moto collettivo di ribellione e di indignazione.

Con i loro no alcuni giudici d’oggi contrastano invece un’azione - contro l’immigrazione illegale, contro lo scandalo dei rifiuti - che gode del più ampio sostegno popolare, e che perfino una parte dell’opposizione parlamentare condivide. Questi giudici del no rappresentano solo se stessi.

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