La fuga dei capolavori

La misura è colma. In aprile a Londra la vergogna dell'Italia sarà completamente rappresentata con la vendita all'asta del capolavoro di Mallord William Turner che era possibile, fino a qualche tempo fa, vedere in una collezione di Bergamo: una straordinaria veduta di Venezia che sarebbe stato augurabile poter continuare a vedere in Italia. E opportuno, in prospettiva, acquisire alle collezioni dello Stato. È osceno, barbaro, criminale, che un capolavoro italiano, del più grande pittore romantico europeo, sia lasciato emigrare con regolare permesso di esportazione rilasciato dalla sovrintendenza, che ha recentemente messo vincoli e stabilito divieti di esportazione per opere marginali o minori. Magari, come è accaduto di recente, per un dipinto, più volte ripetuto, del Sassoferrato. È l'ennesima frode al nostro patrimonio, prima depredato, per fornire i musei americani, dal Berenson; poi dopo che la nuova legge di tutela del 1939 stabilì misure più restrittive, dalla ignoranza dei funzionari che, con particolarissima miopia, vincolavano spesso i feticci di arte antica lasciando uscire tutti i capolavori del futurismo e della metafisica, di cui i musei italiani sono singolarmente poveri.
Questa tradizione continua con l'incredibile vicenda del Turner che verrà venduto in asta a Londra per 15 milioni di sterline. Immagino già il funzionario che ha autorizzato l'esportazione giustificarsi con la considerazione che il pittore non era italiano. Difficile però conciliare una tale leggerezza e liberalità con l'acquisizione contemporanea di tre carboncini della coppia alla moda Gilbert and George (non più significativi di Dolce e Gabbana) per un milione e mezzo di euro. Per la stessa cifra lo Stato non ha acquistato l'ultima grande pala d'altare di Boccaccio Boccaccino, un capolavoro del primo Cinquecento. Così ha dovuto rinunciare alla Pisana di Arturo Martini. Certamente la politica degli acquisti dello Stato e della pubblica amministrazione è stitica e scellerata, del tutto priva di prospettiva e di progetto. Gli acquisti sono occasionali e preterintenzionali, assai di rado giustificati e necessari. Il Comune di Torino stava spendendo, su suggerimento di Giovanni Romano, quattro miliardi e seicento milioni per un presunto Giambologna, comprato qualche tempo prima per trecento milioni di lire, come sapeva perfettamente lo stesso Giovanni Romano, consulente anche dell'antiquario, in patente conflitto d'interesse. Moralista a corrente alternata, mai per sé, sempre per gli altri. Con questo metodo non si va molto lontano e non si acquistano le cose essenziali. Negli ultimi anni essi si contano sulle dita di una mano, e mi vedo, in un modo o nell'altro, coinvolto. Nel 1995, la Commissione cultura della Camera dei Deputati, da me presieduta, determinò che l'eredità Bardini, senza perdere palazzo e collezioni, consentisse l'acquisto di due mirabili tavole di Antonello (la terza era stata acquisita dal Comune di Milano) per diciassette miliardi di lire e, con altri diciassette miliardi di lire, il rilievo di Donatello fissato in Palazzo Martelli contestualmente acquisito dallo Stato con una straordinaria collezione di dipinti tra i quali è apparso un inedito Cosmè Tura.
Colpi di scena, straordinari quanto poco noti. Più tardi, dopo aver sventato l'acquisto del sopravvalutato Giambologna, ho invece sollecitato e disposto quello della Santa Monaca di Paolo Uccello proveniente dalla collezione Contini Bonacossi e destinato alla Galleria degli Uffizi. Allo stesso modo, dopo una spericolata trattativa con Semenzato, ho ottenuto in dono allo Stato alcuni rarissimi pezzi della collezione De Carlo e, tra questi, il Maestro di San Francesco, destinandolo alla Pinacoteca di Perugia. Un altro acquisto importante, durante il mio anno al Governo, fu la Nascita della Vergine di Gaudenzio Ferrari, pala d'altare della Cappella della Concezione di Maria della Chiesa di Santa Maria della Pace a Milano, destinata alla Pinacoteca di Brera. Non riuscii invece ad acquisire per l'Accademia di Venezia, battendo personalmente a un’asta a Londra, la mirabile tavola di Gentile Bellini con la rappresentazione del Reliquario di Bessarione il cui originale si conserva nella stessa Accademia. Altre recenti e importanti occasioni perdute dello Stato sono il Ritratto di Francesco Righetti del Guercino precipitosamente venduto dal Kimbell Art Museum di Fort Worth. Il ritratto di Gabriele Tabino di Tiziano, fortunatamente pervenuto alla Cassa di Risparmio di Ferrara. Altre occasioni perdute, o mancate, ma non irreparabilmente, sono le grandiosi collezioni di sculture antiche del Principe Torlonia e la Pinacoteca di Palazzo Corsini a Firenze. Tra le scelleratezze imperdonabili, la dispersione dei cimeli Rilchiani del Castello di Duino e lo smembramento delle collezioni dei Principi Piò a Imbersago. Certo tra lacune, assenze, indisponibilità, denari sprecati, il panorama è sconfortante. Sono lieto di aver partecipato ad acquisti, piccoli per entità di spesa, grandi per importanza storico-artistica, in Sardegna e in Sicilia. Per la prima, con una bella tavola acquistata per cento milioni di lire, del maestro di Ozieri; per la seconda, con una tavoletta dipinta recto e verso di Antonello da Messina. Un'opera giovanile oggi universalmente riconosciuta ed esposta a fianco dell'Annunciata di Palermo al Metropolitan di New York. Apparsa in un’asta a Londra la raccomandai all'assessore Fabio Granata della Regione Sicilia, e si riuscì ad acquistarla per l'incredibile cifra di trecentomila sterline, poco più di due anni fa. Lo Stato italiano intanto maramaldeggiava con acquisti ridicoli come l'affresco staccato con una storia di Pompeo nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Un’altra penosa rappresentazione è data dagli acquisti e doni per i Musei Comunali di Roma tra il 1996 e il 2005. È possibile oggi vederli in mostra ai Musei Capitolini. Una parata di oggetti insignificanti, dipinti, disegni, sculture, antichi e moderni, dalle copie dei Sacramenti di Poussin ai disegni di atleti di Gino Severini, e dai tristi ritratti dei seguaci del Baciccio e di Voette, ai bozzetti donati dalla Nestlé. Penosi gli acquisti di artisti contemporanei, da Carla Accardi a Enzo Cucchi, triste rappresentazione di impotenze creative riscattate da un solo capolavoro fra tante prove di modestia: la Maschera del dolore (o l'Autoritratto) di Adolfo Wildt, concepito giusto cento anni fa, nel 1906.

Per il resto, meglio dimenticare o, ancor meglio, evitare, come è nel caso del Maxxi, che non esiste ancora ma che è già dotato di opere d'arte implacabilmente acquistate in ossequio alle mode dell'arte contemporanea e senza badare a spese.

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