Il futuro ds tra Emilia e Toscana

L’offensiva sui Ds continua. L'obiettivo fondamentale di un arco ampio di forze giornalistiche, giudiziarie, finanziarie era eliminare unicamente Massimo D'Alema. In questo senso si offriva l'immunità a Piero Fassino. Così i Cacciari e i Grillo: «Non poteva sapere». Contro il presidente ds si mobilitavano antichi rancorosi dirigenti del Pci per tirare lezioni di moralità. Si cercava di sollevare la base. Le ultime intercettazioni sui rapporti tra Fassino e Giovanni Consorte, hanno troncato l'operazione «salvare il segretario - bollire il presidente».
Certo contro D'Alema anche gli amici mugugnano. A parte il credito dato a Giovanni Consorte (e i sospetti sul credito ricevuto), si critica l'idea di controllare tutto da dietro le quinte e che la pura intelligenza alla fine sistemi ogni cosa. I cenacoli, costruiti fuori dalla caciara ds per dare un cervello alla sinistra, vacillano. I banchieri amici prendono le distanze, gli amici intelligenti (tipo Antonio Polito) cercano rifugio sotto le ali mieliste. Ma chi è oggi sotto processo, nonostante i protettori, è Fassino: lui ha dato d'intendere che i rapporti con il mondo Fiat avrebbero frenato il Corriere della Sera; lui ha regalato a Romano Prodi candidatura plebiscitaria e lista unitaria alla Camera senza garanzie di solidarietà politica in caso di guai, e non si è accorto che il professore bolognese, via Giovanni Bazoli, stringeva nuovi rapporti con il Corriere dando via libera alla campagna anti-Unipol; lui ha creduto che l'agitazione di Francesco Rutelli fosse formale e in fondo utile anche ai Ds. Sempre Fassino ha contrapposto toscani a emiliani (via il suo vice, Vannino Chiti) e poi ha diviso gli emiliani, corteggiando il presidente della Regione Vasco Errani e il segretario regionale Roberto Montanari per indebolire D'Alema (e Pierluigi Bersani) dando la sensazione, non infondata, che i Ds si sarebbero divisi.
In questi anni si è molto dubitato delle qualità strategiche di Fassino, riconoscendo però che sgobbonismo e implacabile presenzialismo alla fine avevano turato i buchi più grossi lasciati dalle passate gestioni (compresi un bel po' di quelli economici). Però il condottiero si riconosce nello scontro: e oggi l'immaginifico sgobbone non fa che nascondersi dietro un Chiti critico dell'operazione Unipol.
Sotto attacco, a tre mesi dal voto, con un leader (Prodi) che non spreca solidarietà, con liste unitarie da comporre con chi sostiene l'incalzante canea mediatico-giudiziaria. La guardia di ferro dalemiana si è mobilitata: Gavino Angius comunica pro Unipol, Livia Turco dice che «Sposetti (ndr. tesoriere ds) è un santo». Persino Luciano Violante, un po' freddo per tante promesse non mantenute, si muove.
Dall'altra parte le satrapie amministrative: Antonio Bassolino è in lite con i dalemiani (vedi ex sindaco di Salerno Vincenzo De Luca) ma ce l'ha anche con Fassino che lo ha (giustamente) accusato di sprechi. Non si spenderà nello scontro. Veltroni ha fatto capire già sulla vicenda Unipol-Bnl di avere le mani legate: non ha aiutato gli scalatori Unipol con il costruttore Pierluigi Toti per non irritare il presidente degli industriali romani (e di Bnl) Luigi Abete. Non si muoverà. Ma fa intendere l'aria che tira: tra i pochi in Italia ha superlodato la proposta di Costituente montezemoliana. Sergio Chiamparino non può negare niente al mondo Fiat e così, stancamente, porta un obolo alla crociata antidalemiana. In tante parti d'Italia, poi, i Ds hanno difficoltà a presentare un profilo netto. O comandano imprenditori come Renato Soru e Riccardo Illy. E anche Cacciari svolge un ruolo simile. O estremisti come il siciliano Claudio Fava e Nichi Vendola che, pur di Rifondazione, pesa nel partito ds pugliese, dalemiano per eccellenza. D'altra parte l'Unità mostra come l'unica droga che animi i ds sia l'estremismo. E quando deve usare il buon senso, la testata fondata da Gramsci si affloscia. La Cgil non conta quasi più niente: le posizioni radicali interne guadagnano consensi e paralizzano un gruppo dirigente già di per sé evanescente.
Alla fine chi deciderà il probabile scontro nei ds, saranno le due grandi regioni rosse: lì vi sono i soldi, gli iscritti e i voti fondamentali. La Toscana di Chiti, Claudio Martini (presidente della Regione), Turiddo Campaini (presidente dell’Unione coop di Firenze nemica di Consorte), e soprattutto del Monte dei Paschi di Siena ferreamente controllato dalla federazione ds locale e portavociato da Franco Bassanini. E l'Emilia di Ivano Sacchetti (vice, dimissionario e plurimilionario, di Consorte, stirpe del più nobile casato cooperativo), di Giuliano Poletti (presidente della Lega cooperative), di Errani e Montanari, di Bersani (azzoppato dopo la gloria delle «giornate sul programma») e infine del cremonese Sergio Cofferati che vede l'occasione crisi Unipol per mettere il naso in un sistema che tanto conta nella Bologna di cui è sindaco. L'ex leader della Cgil detesta D'Alema ma ce l'ha con Fassino e Veltroni che hanno snobbato la sua politica sulla sicurezza.
L'Emilia è più ricca e quadrata, la Toscana è anarchica e conservatrice, fragile per gli eccessi di spesa regionale: anche se il Monte può fare la differenza. Le due regioni però si dividono da sempre al loro interno. Almeno dal 1100 in poi.

Anche in questo caso i romagnoli sono anti-bolognesi: ma finora fanno sponda a D'Alema. In Toscana il sindaco di Firenze Leonardo Domenici è ostile a Chiti, e l'altra grande cooperativa di consumo, l'Unicoop Tirreno, ex Proletaria, stava con Consorte.

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