Galleria Pavesi e «I colori del rock» Cinquant’anni di pittura americana

«Correva l’anno 1949 e Will-Bill More registrava la canzone Rock and Roll, un genere definito race music dall’industria discografica e riservato a un pubblico afroamericano. Il brano, con le sue allusioni al ballo ed al sesso, fa breccia anche in chi non ne coglie i doppi sensi e diventa presto un modo di dire, soprattutto dopo il passaggio del pezzo alla radio, nel 1951, in una fortunata trasmissione di Alan Freed, seguita soprattutto da un pubblico di bianchi». Così racconta Mariana Majana nell’introduzione del catalogo che accompagna la mostra «I colori del rock. Pittura americana dagli anni ’50 ad oggi», Galleria Pavesi, via Guido D’Arezzo 17, fino al 14 marzo. È curioso come nella stessa estate del ’51 la rivista Life introduca Jackson Pollock ai suoi lettori definendolo «il più grande artista degli Usa». Pollock diventa il testimone della libertà e democrazia. «Lo scopo era scalzare Parigi e toglierle il primato dell’arte», spiega Arnaldo Pavesi, curatore della mostra. Con la scuola di New York, infatti, il linguaggio pittorico cambia: siamo di fronte a una demarcazione tra astrazione cromatica e contemplativa. Seguono Still e Newman, ma anche Kline che lavorano sull’astrazione gestuale. L’ideologia che aveva accompagnato l’arte in Europa fino al 1940 dal Realismo al Surrealismo, viene sostituita dal semplice gesto «dell’esserci». L’esistenza è così all’azione del presente. «L’action painting» segna dunque la nuova definizione di arte come azione, anche se alla fine degli anni Sessanta l’opera d’arte diventerà un prodotto di lusso da consumare in massa. Andy Warhol l’aveva capito e denunciato con la sua Pop Art. La mostra alla Galleria Pavesi Fine Arts ripercorre il cinquantennio che va dal 1955 ad oggi, attraverso opere firmate da artisti informali americani accomunati da un istinto spontaneo e libero da stili precedenti. I dipinti ruotano luminosi attorno alle musiche alle quali sono ispirati, moltiplicandosi tra note di colore e timbri di energia. Pavesi aveva iniziato a frequentare le gallerie contemporanee con lo stesso spirito di eccitazione e sensibilità di quando ci si approccia alla musica: «All’epoca mi affascinava il mondo anglosassone con le Harley Davidson, le Corvette, i Cream, Led Zeppelin e i Beach Boys. Contemporaneamente, ho sempre creduto nei Turcato, Burri, Capogrossi, Rotella ma viaggiando iniziai ad apprezzare i Jasper Johns, i Rauschenberg e i Lichtenstein.

Con l’aiuto di Paolo Carù, direttore di Buscadero, ho proposto una traccia Rock per ogni dipinto scelto per l’emozione viscerale che suscitava in me: ho cercato così di creare un tandem di suoni e colori, cercando sintonia tra estetica e assonanza ritmica».

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