Gatlin patteggia: 8 anni di stop e addio al record dei 100 Ma è certo di avere uno sconto

Lo sprinter dopato evita la squalifica a vita e farà appello. Ora deve aiutare le indagini

Francesco Rizzo

Dice di non sapere come la sostanza che lo ha reso positivo al controllo antidoping sia entrata nel suo corpo. Ma ammette la validità del test e la violazione commessa. Justin Gatlin, il velocista Usa trovato positivo a un precursore del testosterone il 22 aprile scorso, si è arreso: ha patteggiato con l’Usada, l’Agenzia Antidoping statunitense, una sospensione di massimo otto anni dall’attività agonistica con la Federazione Usa, in cambio della collaborazione con l’ente americano che combatte l’alleanza perversa tra farmaci e sport. Otto anni sono mastice potente sotto le suole di uno sprinter ventiquattrenne, ma i suoi avvocati puntano a ridurre lo stop a meno di due anni, consentendo al velocista di Brooklyn di ipotizzare un ritorno per i Giochi di Pechino 2008. Difficile e lontano. Per ora conta altro: Gatlin non potrà più vantare il 9”77 sui 100 metri corso nel maggio scorso e il detentore di quel tempo, record mondiale, resta solo il giamaicano Asafa Powell, che lo ha fatto registrare in tre occasioni.
Gatlin, campione olimpico e mondiale in carica dei 100 metri, era già risultato positivo nel 2001, a causa di un farmaco assunto per controllare un deficit di concentrazione: un’assenza di dolo che allora gli valse una riduzione della squalifica e che oggi l’Usada - premiando la sua disponibilità a fornire informazioni utili - ha riconosciuto come errore commesso in buona fede. Un punto a suo favore, perché un atleta pizzicato positivo due volte viene sospeso per sempre. Gatlin ha ora sei mesi per fare appello a una commissione d’arbitrato e sperare di vedersi ridotta la pena. Non potrà tuttavia negare la validità del test che lo ha appiedato.
«Justin - spiega Travis Tygart, segretario generale dell’Usada - ha accettato di non utilizzare, a sua difesa, motivazioni tecniche o giustificazioni fumose. Adesso ha l’opportunità di affrontare un arbitrato e spiegare le eccezionali circostanze che hanno causato la sua positività». I legali di Gatlin non ricorreranno alla teoria di Trevor Graham, il suo allenatore, da tempo nel mirino di chi conduce la lotta al doping: secondo Graham, lo sprinter Usa sarebbe stato vittima del complotto di un massaggiatore, che gli avrebbe spalmato una crema al testosterone. Ma Gatlin dovrà fornire almeno qualche ragionevole spiegazione circa la sua misteriosa positività. O collaborare davvero con l’Usada.

Anche perché la Federazione Internazionale si è detta ieri disposta ad accettare una squalifica più mite - ma non sotto i 4 anni - solo a patto che l’americano faccia i nomi dei suoi fornitori di «benzina illecita». Non basta che dica «sorry, non so che cosa sia successo». Deve dimostrarsi davvero pentito. E parlare.

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