Genova, un carabiniere litiga con la moglie e la uccide a coltellate

I due coniugi si stavano separando: le figlie erano ospiti dei nonni materni. A chiamare il 112 è stata la madre del militare, che aveva visto il figlio fuggire di casa con le mani sporche di sangue

Genova, un carabiniere 
litiga con la moglie 
e la uccide a coltellate

Non ha sopportato il rifiuto della moglie ad accompagnarlo in piscina. L’ha preso come uno sgarbo: l’ennesimo, incomprensibile sgarbo di quella donna, di quella compagna di vita da cui si stava separando, da cui si considerava costretto a separarsi anche se l’amava ancora. È il primo pomeriggio di ieri, i due sono in casa, in via Vespucci, a Pegli, nell’estremo ponente genovese. Forse l’uomo vuole fare un altro tentativo di riappacificazione, dopo i tanti litigi che hanno minato gli anni di matrimonio nonostante la nascita di due bambine. E allora lui, Fabrizio Bruzzone, 40 anni, la metà dei quali nei carabinieri dove ha raggiunto il grado di maresciallo, perde la testa: urla, inveisce, poi afferra all’improvviso un coltello e colpisce con furia bestiale, senza che lei, Mara Basso, 38 anni, commessa in un supermercato poco distante dall’abitazione in cui si è consumata la tragedia, riesca a tentare una difesa. Sei colpi al corpo, alle spalle, ma è quello alla gola, l’ultimo inferto, che uccide. La moglie crolla in un lago di sangue, Fabrizio è sconvolto, esce dall’appartamento come un automa, incrocia l’anziana madre che abita al piano di sopra, ha sentito le urla e intuito quello che poteva succedere. Quello che è successo.

La donna vede il figlio scalzo, con le mani e i vestiti insanguinati. Capisce e entra in casa, scopre la nuora ormai cadavere. Chiama il 112. Arriva in pochi minuti anche l’ambulanza, troppo tardi. Intanto Fabrizio scende in strada: sale sulla sua moto, una Bmw, avvia il motore e accelera, ma dopo pochi metri scivola e si schianta contro un’auto parcheggiata. Si rialza, riprende la fuga, tenta di far perdere le tracce. Per un po’ ci riesce. Il telefonino è spento, si teme che possa fare un altro gesto inconsulto, questa volta contro se stesso. Ma la fuga dura solo poche ore. A fine pomeriggio una pattuglia di carabinieri, i «suoi» carabinieri, lo rintraccia sulle alture della città, a San Carlo di Cese, a pochi chilometri dal luogo del delitto. Fabrizio Bruzzone è riverso a terra, dolorante. Ha una gamba spezzata, probabile conseguenza dell’impatto contro l’auto al momento di iniziare la fuga. I colleghi dell’Arma, alcuni sono anche amici, raccolgono solo poche frasi sconnesse.

Non sembra nemmeno lui, Fabrizio, lo stesso sottufficiale, quello stesso maresciallo «distaccato» a Palazzo di Giustizia che hanno conosciuto e apprezzato in tanti anni di servizio. Mai una critica, mai un problema. Solo, da qualche tempo, per via di quei dissapori familiari, il maresciallo era diventato più chiuso, malinconico. Loro, i colleghi, cercavano di stargli vicino, ma si scontravano con un «muro» impenetrabile. Fabrizio non riusciva più a sorridere neanche alle due figlie avute da Mara, in tempi felici.

Ieri le bimbe erano in campagna, con i nonni materni, non sanno nulla di quello che è successo. I genitori, su quello sì che erano d’accordo: non volevano che le loro piccole soffrissero per i litigi continui. Dovevano crescere serene, credendo, illudendosi che mamma e papà, prima o poi, avrebbero fatto la pace.

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