(...) in lunghi conciliaboli con colleghi a Cinque Stelle e, per primo, ha scritto sulla sua pagina Facebook: «Rodotà è l'unica speranza per un governo di cambiamento».
Ma Pastorino, ormai, è in piena svolta movimentista. A lasciare il segno è stata la scesa in campo di Claudio Burlando. E - nonostante non condivida per nulla la sua analisi, che mi pare assolutamente sbagliata - occorre dargli atto di averci messo la faccia prima di tutti, prima che diventasse di moda nel suo partito, un paio d'ore dopo. Il primo segnale è stato un tweet di Raffaella Paita, la più burlandiana dei suoi assessori e soprattutto il personaggio politicamente più pesante e a tratti pensante della giunta: «Il Pd esce a pezzi da questa storia. Ora basta». E poi: «In questa vicenda non c'entra Marini, che è persona rispettabile. È il metodo, sono gli obiettivi mascherati. Il giorno dopo le elezioni mi ero permessa di dire: Cambiamo idee e uomini. Ora penso non ci siano più dubbi». Parole firmate da un'esponente che ha appoggiato pesantemente Bersani alle primarie.
Se Lella ha fatto da rompighiaccio alle 11, sessantanove minuti dopo, alle 12,09, è Burlando a intervenire con un tweet. E qui serve una precisazione: da quando la bravissima Anna Costantini, la sua migliore consigliera che l'ha molto migliorato, l'ha convertito al verbo telematico e ai social network, per Burlando un tweet vale più di un documento in carta bollata, con tutti i timbri e le ceralacche della Regione. E, quindi, per lui, che ha una storia comunista alle spalle, la disobbedienza ha un valore fortissimo, tale da meritare un tweet: «È la prima volta che disobbedisco in quarant'anni. Ma non volevo essere complice di un suicidio. Ieri ho votato contro. E chi oggi vota non può non sentire la rabbia e il dolore». Concetto affinato dal governatore sessantacinque minuti dopo, alle 13,14: «Ho votato ora e ho votato scheda bianca. Credo sia onesto dirlo prima dello spoglio. Mai detto che avrei votato Rodotà».Insomma, quantomeno, Burlando ci mette la faccia per primo. Anche se è un po' surreale il fatto che pure lui vada dietro alle urla, anzichè provare a governarle. E, comunque, è l'anteprima di un documento firmato dallo stesso presidente della Regione, dai cinque segretari provinciali del Pd (anche il Tigullio ne ha uno) e dai parlamentari non paracadutati.
A un certo punto, buon ultimo, si fa vivo anche Lorenzo Basso. Il segretario ligure del partito e deputato - che aveva dato una lezione a tutti dimettendosi da consigliere regionale prima ancora dell'insediamento di Montecitorio - stavolta ci mette un po' a palesarsi. E l'Ansa annuncia il suo voto contrario all'ex presidente del Senato, membro del suo partito e candidato del suo partito, alle 16,58: «Non sono fra i 222 che hanno votato la proposta Marini. Non lo dico a cuor leggero, tantomeno vantandomene come fosse un merito. Per me è stato un atto davvero sofferto. È la prima volta in questi tre anni che non sostengo la posizione di Bersani».
Insomma, Basso si schiera per il rinnovamento. Opponendosi a Marini, troppo «vecchio». In nome di Prodi, ministro di un governo Andreotti nel 1978.
(1-continua)
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