(...) praticamente in automatico. In caso di elezione di Romano Prodi a presidente della Repubblica avremmo subito prenotato la sala grande del teatro della Gioventù ed organizzato un'immediata mobilitazione contro il professore. Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. E gli «Amici» pure.
Ma, fortunatamente, ieri, non ce n'è stato bisogno. E tutto fa pensare che non ce ne sarà mai bisogno. Con grande sollievo degli «Amici» e degli italiani.
Prodi ne è uscito a pezzi. Il Pd ne è uscito a pezzi. Ma più ancora ne sono usciti a pezzi il Pd ligure, i suoi esponenti di punta e i suoi fiancheggiatori vari che hanno fatto apertamente il tifo per Prodi e contro D'Alema, così come l'hanno fatto i giornaloni nazionali. A fare la figura peggiore è certamente Lorenzo Basso, che ha meno di quarant'anni, un viso da bambino e non ha provato pudore a spacciare come grande rinnovamento l'idea di candidare al Quirinale un tizio che, da presidente dell'Iri, ha firmato il declino di Genova, e che nel 1978 (millenovecentosettantotto, non è un refuso) era ministro dell'Industria in un governo guidato da Giulio Andreotti.
Vedete, si può essere descritti come statisti e avere giornali che ti dedicano ritratti che non si farebbero nemmeno per il nuovo Alcide De Gasperi. Ma se non si ha vergogna di dire senza arrossire che Prodi rappresenta il nuovo, davvero non si è nemmeno il nuovo Giancarlo Mori.
Ma ancor peggio è andata a Claudio Burlando. Il che è molto più grave, visto che Burlando, invece, di politica ne capisce davvero. E, in caso di elezione di Prodi ieri sera, ne sarebbe stato il king maker. Tanto da essere stato il primo a telefonargli ieri mattina, in Mali, per annunciargli l'intenzione del Pd di convergere sul suo nome per il Colle.
Burlando era talmente convinto di questa storia da aver saltato la terza votazione, non rispondendo alla chiama dei delegati regionali, di cui invece i suoi due colleghi Rosario Monteleone - diventato una star nazionale, fotografatissimo - e Gino Morgillo non si perdono una battuta. Insomma, il governatore era concentrato al massimo sul quarto scrutinio, dove avrebbe potuto coronare il sogno di votare il suo amato Prodi. E quindi si è messo al cellulare: «Sono riuscito a contattarlo appena ha acceso il telefono. Mi ha risposto che dovrebbe riuscire a rientrare domani mattina dall'Africa. Arrivo appena posso mi ha detto».
Magari avrebbe fatto bene a leggergli anche un'intervista di un ideologo pentastellato come il professor Paolo Becchi in cui il docente genovese spiegava: «Prodi è stato l'artefice della totale distruzione del Paese. È l'espressione della casta e del cattocomunismo». Parole utili per capire che, difficilmente, sarebbero arrivati voti grillini, ieri.
E così, mentre l'agenzia di stampa Ansa batteva la notizia della telefonata burlandiana come quelle urgentissime, con tante crocette al fianco, di quelle riservate solitamente all'elezione del Papa o a una dichiarazione di guerra di Andorra a San Marino, Claudio aveva ancora modo di pontificare sulle critiche per la gestione della vicenda del non voto Marini, di cui lui è stato il regista a livello ligure. E anche uno dei più pesanti a livello nazionale. Il presidente della Liguria non accetta le critiche del Pdl su questa storia: «Prodi è l'unico che può far nascere un governo. Marini è persona degnissima e per questo non si doveva portare al voto».
Libertà anche di scomparire politicamente.
(2-continua)
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