Una sorta di decalogo con appendice, undici «regole d'oro» da sottoporre al futuro governo come «elenco di azioni che, se messe in atto, potrebbero dare una concreta speranza al Paese di uscire da questa orribile situazione per riprendere il cammino verso un futuro meno incerto». A lanciare l'appello e mettere nero su bianco il documento è l'imprenditore genovese Walter Pilloni, presidente di Teknit, azienda nota in particolare per lo scooter elettrico Ecojumbo, ma anche per aver spostato la produzione dall'Oriente alla città della Lanterna, in netta controtendenza rispetto all'«ordinario quotidiano» di buona parte dell'industria nazionale. «I dati che ci vengono impietosamente consegnati dalla Camera di commercio di Mestre e da tutte le associazioni di categoria - sottolinea innanzi tutto Pilloni - ci illustrano un Paese in grande affanno se non prossimo al collasso. Oggi l'Italia è pericolosamente in bilico tra un default tecnico e un futuro di grande disagio sociale».
Fatta la premessa, non restano che due strade per affrontare lo scenario: o rinunciare, o reagire «con scelte coraggiose e incisive». È quanto Pilloni si propone (e ripropone ai responsabili della cosa pubblica): «Nel 2012, 240mila aziende hanno chiuso i battenti - invita a riflettere l'imprenditore - e il saldo con le nuove partite Iva è negativo. Oggi sempre meno italiani vogliono fare impresa!». Se ancora esiste una speranza per risollevare le sorti del Paese, dunque, questa può giungere unicamente da chi crea e distribuisce ricchezza con il proprio impegno e sacrificio quotidiano, e non da chi riscuote sistematicamente le imposte con metodi coercitivi e intimidatori. «Per cambiare - insiste il papà di Ecojumbo - occorre con urgenza tornare al liberismo di mercato, meno Stato e più impresa, azzeramento della burocrazia inutile e costosa. In Gran Bretagna si apre una azienda in un giorno a costo zero, nel nostro Paese occorrono mesi e qualche migliaio di euro».
Ecco quindi l'assoluta necessità di adottare semplici, ma fondamentali regole per innescare un nuovo circuito virtuoso. Il vademecum di Pilloni parte, in particolare, dalla richiesta di applicazione della legge del 1998 sul rispetto dei termini contrattuali da parte dei soggetti pubblici e privati: «La garanzia dell'applicazione dei termini contrattuali significa certezza dell'incasso nei tempi e nei modi stabiliti». Inoltre, dichiara Pilloni, diventa improcrastinabile «la defiscalizzazione degli investimenti e delle assunzioni come regola e non come eccezione». Punto 3: bisogna favorire l'accesso al credito agevolato per le giovani imprese (start up). Non basta: l'imprenditore genovese va alle altre proposte, non meno importanti per uscire dalla crisi. Ecco, pertanto, l'esigenza di «privilegiare i fornitori nazionali da parte delle aziende pubbliche e private, quando queste ultime beneficiano di contributi e agevolazioni di Stato», ecco l'introduzione della «riduzione del costo del lavoro attraverso uno sgravio dei costi contributivi, ecco inoltre l'impegno a «premiare le aziende che a seguito di autocertificazioni dimostrino di aver operato in maniera virtuosa». Già così saremmo a metà dell'opera. Ma Pilloni non s'accontenta e suggerisce altre armi in grado di scardinare la congiuntura sfavorevole: «I crediti in sofferenza - aggiunge con assoluta convinzione - non dovranno necessariamente attendere la conclusione dell'iter fallimentare per essere decurtati dai ricavi dell'esercizio, e l'Iva potrà essere recuperata entro l'anno di fatturazione. Inoltre, occorre ridurre le imposte o procrastinarle quando l'azienda dimostri di vivere situazioni di emergenza».
Gli ultimi tre punti essenziali del documento di Pilloni: estendere gli ammortizzatori sociali alle imprese di tutte le dimensioni e settori merceologici che abbiano forza lavoro occupata da almeno cinque anni; considerare ecologia e business come la vera risposta alla crisi del secolo; infine, mettere al centro il lavoro e l'impresa secondo il principio del laissez-faire, meno Stato e più impresa, «liberando le imprese stesse dai vincoli burocratici, fiscali e amministrativi che le bloccano». L'imprenditore ha diritto a risposte concrete che lo Stato (la politica) non può più rimandare.
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