Il Pd ligure e il rischio di far perdere l'Italia per colpa di Facebook

(...) E lo dimostra anche la sua battuta dopo il patatrac Marini, candidatura che non approvava, ma a cui si è allineato, insieme a soli altri tre liguri: Roberta Pinotti, Vito Vattuone e Mario Tullo che, come al solito, ha dato una lezione di lealtà ai suoi. «Se abbiamo un colpo di genio in due ore - ha detto Orlando - si può convergere su un altro. Ma siccome di colpi di genio non ne abbondano, non credo». Orlando, fra l'altro, rispetto alla fretta del Pd ligure in cui si parlava di raccolte di firme per anticipare le riunioni decisive, da buon bersaniano, temporeggiava: «Meglio ricontarsi quando avremo le idee chiare». Concetto ribadito il giorno successivo: «La situazione è grave. Prima di accantonare delle candidature, siccome non ne abbiamo di infinite, sarei cauto e conterei fino a dieci». E poi, dopo il no anche a Prodi, ha aggiunto: «Penso che ci siano persone che non hanno capito dove sono». Certamente, fra questi ci sono pure la stragrande maggioranza dei suoi colleghi liguri.
Chi, invece, aveva le idee chiarissime era Claudio Burlando. Che, a mio parere, ha firmato il certificato di morte su un Pd ragionevole e non schiacciato a sinistra, non surrealmente accucciato sul «popolo della rete» e su una coalizione che ricorda drammaticamente l'Ulivo prodiano. E la scelta di campo burlandiana sul «modello Liguria» che includesse tutto, dai Cinque Stelle a Sel, fino a Scelta Civica, somigliava a quell'armata Brancaleone che comprendeva i centri sociali e i banchieri di Dini, Turigliatto e Mastella. Si è visto come è finita.
Fra l'altro, una scelta così identitaria come quella di Burlando contrasta completamente con ottime iniziative del governatore come «Felici di crescere», il convegno del Ducale dedicato proprio a venire incontro alle richieste degli imprenditori e a rilanciare l'economia. Un convegno dove si è volato alto, dove la crescita c'è stata certamente (almeno quella di Burlando senz'altro) e dove il governatore ha giustamente stroncato i paladini della decrescita felice e il salario di cittadinanza. Insomma, Burlando ha detto l'esatto contrario dei Cinque Stelle e io ho condiviso le sue parole. Mi sembra surreale che oggi voglia governarci insieme.
Eppure. Eppure il presidente della Liguria, dopo il primo scrutinio, ha spiegato: «Io ho votato scheda bianca. È una questione di asse politico. Non si può fare un'alleanza fra Pd, Pdl e Lega». Ma quello che lascia basiti è la motivazione di questo non possumus: «Nessuno dei nostri vuole questa operazione politica. Non si può ignorare quello che pensano i nostri. Il mondo del Partito democratico è contrario a un'operazione che ci avrebbe messo nelle mani di Berlusconi, prefigurando un governissimo con la Lega e il Pdl. È evidente che occorre proporre un candidato che possa avere anche il consenso dei parlamentari del MoVimento Cinque Stelle di Scelta Civica».
Il contrario rispetto a quello che sostengono alcuni fra gli uomini più capaci e responsabili del Pd, fra cui, il «nostro» Giovan Battista Raggi, tesoriere regionale che proprio su queste colonne ha firmato alcune delle analisi più lucide sulla necessità di pacificazione nazionale.
Il punto sta proprio lì. Che Burlando pensa a quello che vogliono «i nostri».

Ma, a furia di pensare ai «nostri», destra e sinistra, o peggio ancora al popolo dei «tweet» e di Facebook o ai cinquanta che manifestavano davanti a Montecitorio, il rischio è che a perdere sia l'Italia.
(3-continua)

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