(...) E, soprattutto, il suo commissario Luciani è il miglior personaggio di gialli italiani. Forse anche perché, in qualche modo, Luciani è Paglieri. O, almeno, ci assomiglia da vicino, in alcune insane passioni, prima fra tutte quella per la maratona. E poi Luciani è Paglieri anche nel fisico, secco e asciutto, così come in alcuni tratti del carattere. Secco e asciutto nonostante Claudio viva per Masterchef e probabilmente trovi sensuale pure la vincitrice Tiziana.
Paglieri, poi, è temprato a una scrittura davvero efficace e ficcante, senza fronzoli, ma anche lontana dal grado zero della lingua, da una tortura quotidiana che gli capita sul posto di lavoro al Secolo XIX, dove è il vice del bravissimo capo dello sport Giampiero Timossi, alla mercè delle sue passioni più recondite, da quella per Alberto Malesani a quella per Maria Nazionale. Non potrebbero esserci due personalità più diverse dalle loro, eppure insieme funzionano proprio perché sono complementari e mettono le bollicine nei titoli. In più, Paglieri è anche un sampdoriano che non dice che la colpa è sempre dell'arbitro, né pensava che Pietro Accardi fosse perfetto per la Nazionale (squadra, non Maria) e quindi ne capisce anche.
A questo punto, se volessi fargli male, vi direi che «ha scritto un bel giallo, dove - alla terzultima pagina - si scopre che...». E via di particolari, colpevoli, smascheramenti. Ma, come potete ben immaginare, questo è il peggiore danno che si possa fare a un giallista. E Claudio non se lo merita affatto, anche perché è una persona davvero squisita, umanamente equilibrata e che si documenta su ciò che scrive. Merce rara, insomma.
Però, paradossalmente, nel caso de L'enigma di Leonardo se io adesso vi dicessi che «alla terzultima pagina si scopre che...» il danno non sarebbe di quelli gravi e irreparabili e un giudice civile non accorderebbe la sospensione del mio articolo ai sensi dell'articolo 700 del codice civile. Perché il punto centrale del lavoro di Paglieri è il fatto che il giallo - pur pregevolissimo e ben costruito - non è il valore principale della storia. Il che, per un giallo, potrebbe essere anche un problema.
Invece, no. Il valore principale del libro è proprio il libro in sé, la sua scrittura, le sue descrizioni, l'amore dell'autore per i suoi personaggi, persino quelli più sgradevoli. Insomma, L'enigma di Leonardo è bello a prescindere e merita un posto d'onore in questa nostra galleria dove segnaliamo con un «passaparola» quello che ci è piaciuto e ci ha fatto emozionare. Ma, allo stesso modo, trattiamo con una dose di sangue verbale degno di un film di Dario Argento quello che proprio non ci è piaciuto, nella rubrica-gemella «la stroncatura».
Ecco, il libro di Paglieri fa parte della prima categoria. E, a parte il fatto che l'autore è genovese, il suo valore ligure è anche nell'ambientazione, nella scelta delle parole, dei suoni, dei colori. Persino degli odori, si direbbe. Anche se non siamo di fronte né a un pop-up che si modella in dimensioni tridimensionali, né a un libro di Geronimo Stilton, con cui pure condivide l'editore, Piemme, che fa sentire i profumi e gli odori anche ai lettori.
E il commissario Luciani - nonostante stavolta si sia trasferito nella casa della mamma a Camogli, pure con l'impiccio di un frugoletto trovato sulla porta di casa di cui si sospetta, ma non si conosce il nome della madre - è perfetto anche per conoscere Genova. Ad esempio, nei romanzi precedenti è stato bravissimo a raccontare il centro storico e i vicoli e, ogni tanto, ne ha anche nostalgia e ci torna. Lui e i suoi collaboratori sono perfetti per raccontare certe atmosfere della città. Così come pure l'ambientazione a Rapallo di altre vicende, sempre di quelle da non svelare, funziona benissimo. Idem, piazza della Vittoria e la questura di via Diaz. O, ancora, i percorsi scelti da un simpatico signore che svuota cantine e vende oggetti agli antiquari, con una filosofia del guadagno straordinaria e non avida.
Insomma, se ci fosse un Montalbano ligure, sarebbe Paglieri. E, addirittura, il ritmo narrativo di Claudio - con i capitoli scanditi semplicemente con il nome del personaggio, come fossero già ciak di una sceneggiatura - e i personaggi di contorno già intagliati come caratteristi, sembra già fatto apposta per finire in una serie televisiva.
Se qualcuno se ne accorge, se persino quell'orrida scritta sulla frase di Cazzullo aiuta, se scoprono che è vero che «è il miglior giallista italiano», se si innamorano dei suoi personaggi, che ormai abbiamo imparato ad amare in Domenica nera, Vicolo delle cause perse e La cacciatrice di teste, abbiamo di fronte il futuro del giallo e della fiction. A questo punto, un capitolo su Timossi non ce lo leva nessuno e magari gli danno pure un ruolo da comparsa, col sigaro e l'impermeabile.
Fidatevi, da non perdere. Passate parola.
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