George Harrison il Beatles che inventò i Live Aid

Ristampato in cd e dvd con inediti il Concert for Bangladesh

Fu George Harrison a organizzare il primo «Live Aid» della storia. Era il primo agosto 1971 quando il chitarrista - scioltisi da poco i Beatles - radunò sul palcoscenico del Madison Square Garden (con l’aiuto del suo maestro Ravi Shankar) Bob Dylan, Eric Clapton, Leon Russell, Billy Preston, Ringo Starr. Nacque così The Concert for Bangladesh, il megaconcerto per raccogliere fondi a favore di quei popoli negletti massacrati dalla guerra (la lotta per l’indipendenza dal Pakistan con milioni di poveracci che cercarono rifugio in India) e dalle alluvioni.

Due anni dopo l’avventura collettiva del «pace amore & musica» di Woodstock ecco una indimenticabile festa di musica e canzoni dedicata al sociale, che oggi viene riproposta in doppio cd e doppio dvd con inediti. L’album, completamente remixato, è arricchito da un brano di Bob Dylan che, oltre ai cinque già contenuti nell’originale, propone la lenta ballad Love Minus Zero/No Limit. Il dvd (curato dalla moglie di George, Olivia Arias) contiene il filmato del concerto (99 minuti), più il nuovo documentario The Concert for Bangladesh revisited With George Harrison & Friends, immagini delle prove con scatenati blues come Come On In My Kitchen, interviste e curiosità. Già allora Harrison e i suoi amici pensavano che la musica avrebbe cambiato il mondo. Utopia? Rigurgito della filosofia post-hippie? Semplicemente una visione moderna e solidale della vita, senza proclami retorici e sventolio di bandiere come accade oggi. Allora non c’erano i media e la tecnologia, i collegamenti in diretta con mezzo mondo, gli sponsor. Bastava una cinepresa, quattro amplificatori, la preziosa chitarra di Clapton come supporto e il pubblico andava in estasi ascoltando Harrison nella preghiera My Sweet Lord, nelle sofisticate atmosfere beatlesiane di Here Comes the Sun e Something, nella melanconia di Beware of Darkness seguendolo con entusiasmo fino alla conclusiva e corale Bangla Desh scritta per l’occasione. Un’agape dalle mille emozioni aperta con i toni spirituali del sitar di Ravi Shankar passando attraverso il rock squinternato di Leon Russell (per anni complice di Joe Cocker) che rilegge alla sua maniera Jumpin’ Jack Flesh dei Rolling Stones e persino per le canzoncine acqua e sapone di Ringo Starr come It Don’t Come Easy. «Vi presento un grande amico di tutti noi: mister Bob Dylan», annuncia Harrison e il Garden trema per le ovazioni prima che il poeta del rock intoni la visionaria A Hard Rain’s A Gonna Fall volando poi da Blowin’ In the Wind a Mr. Tambourine Man.

Un grande evento organizzato in un mese, in un periodo dove le e-mail, gli sms e le videoconferenze erano pura fantascienza. «È stata un’idea di Ravi Shankar - puntualizzava con la solita modestia Harrison -, io ho solo fatto qualche telefonata agli amici. Con Ringo ero rimasto in ottimi rapporti dopo la morte dei Beatles. Con Eric Clapton aspettavamo l’occasione giusta per suonare insieme perché avevamo gli stessi gusti, non solo musicali, anche per le auto o gli abiti. Tutti sono stati grandissimi; hanno messo da parte il loro ego per suonare insieme, perché le vibrazioni del concerto erano più forti di tutti noi messi assieme». «La guerra aveva portato migliaia di profughi a Calcutta - ricorda Ravi Shankar -: morivano di fame e io pensavo di organizzare un concerto con altri musicisti indiani per raccogliere soldi. Poi a Los Angeles incontrai George che si entusiasmò al progetto e in poche settimane coinvolse le star del rock. Fu un miracolo. Lo show fu davvero speciale; quella notte tutto il mondo seppe cosa accadeva in Bangladesh. Fu il primo spettacolo che univa strumenti indiani e chitarre elettriche, rock e solidarietà e fu d’esempio per tutti».

Non è un caso che Bob Geldof, per organizzare i suoi monumentali Live Aid, si sia dichiaratamente ispirato a Concert For Bangladesh. «Tutto è cominciato con George; da lui ho imparato che la musica può diventare politica e aiutare a combattere la miseria».

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