George Hoyningen-Huene, lo zar del bianco e nero

Il padre (padrone) scudiere di Nicola II, la Grande guerra, la rivoluzione, Parigi. E la chiamata di "Vogue"...

George Hoyningen-Huene, lo zar del bianco e nero

Nato nel 1900 (e morto nel '68), l'infanzia e l'adolescenza di George Hoyningen-Huene si svolsero in un mondo dorato che poteva però assumere le sembianze di un prigione, dorata anch'essa, da cui era impossibile evadere. Suo padre, un nobiluomo baltico, primo scudiere dello zar Nicola II, governava i suoi figli, racconterà George, «come i suoi cavalli, con violenza e brutalità» e apparteneva a un'epoca dove «nobiltà, militarismo, autoritarismo, dovere basato su nobili principi e un'incredibile tensione emotiva» davano vita alla pressione estenuante «di un'angoscia metafisica». Era un mondo di cose sacre, di icone e di incenso, ma anche «di divieti irragionevoli e di valori mistici. Era un mondo di leggende e di miti con un tenore febbrile e fanatico».

La casa di famiglia, a San Pietroburgo, si trovava nelle scuderie imperiali, dove il suono delle campane della chiesa accompagnava sull'acciottolato il rumore degli zoccoli degli oltre trecento cavalli lì alloggiati. C'erano le feste, i balli, ma anche l'educazione severa in casa, la scuola luterana, il liceo imperiale, il formalismo distaccato nei rapporti e, più in generale, l'idea che l'unico dovere di un bambino fosse quello di ubbidire, non dare fastidio ai grandi e sbrigarsi a diventare adulto. A lungo George sognò di fare l'acrobata... Gli piaceva la ginnastica e l'armonia dei corpi, coltivava una passione per il bello che le visite all'Ermitage, in compagnia del suo curatore, e amico del padre, il barone Fölkersam, rinnovava a ogni percorso.

A quattordici anni, quel mondo incantato e insieme rigido prese a scricchiolare. Lo scoppio della Prima guerra mondiale vide la Russia prima dissanguarsi militarmente sul fronte orientale e poi precipitare nei torbidi di una pace separata, una rivoluzione, una guerra civile. Dopo Yalta, dove il ragazzo si era trasferito con la madre, nel 1917 madre e figlio raggiunsero l'Inghilterra, grazie all'aiuto dei parenti americani di lei, il cui padre era stato un diplomatico alla corte di Alessandro III. George rientrò in Russia nel 1920, come interprete al seguito del Corpo di spedizione britannico, estremo tentativo europeo di appoggiare le «guardie bianche» filomonarchiche contro il bolscevismo repubblicano e rivoluzionario che era andato al potere. A Caricyn, l'odierna Volgograd, l'ormai ventenne George contrasse il tifo, giacque senza conoscenza per una decina di giorni in una barella da campo, fu infine imbarcato su una nave ospedale con destinazione Londra. Convalescente, raggiunse in Francia la famiglia, compreso il padre sessantenne, fuggito in maniera rocambolesca dalla Russia. I genitori decisero di rimanere a svernare sulla Costa Azzurra, le due figlie, Elisabeth e Helen, optarono per Parigi. Il tenore di vita di un tempo era solo un ricordo e se per il barone e sua moglie l'avvenire poteva essere un pensionamento ancora decoroso, per i ragazzi Hoyningen-Huene era necessario trovarsi un lavoro, cosa per loro del tutto sconosciuta. In patria non torneranno più.

Parigi era allora la capitale della moda, nonché dell'emigrazione russa. Elisabeth e Helen cominciarono lì nella prima, con l'aiuto di qualche figura di spicco della seconda. George fece la comparsa cinematografica. Possedeva uno smoking, un bel portamento, era perfetto per le scene di massa ambientate nelle feste, oppure in teatro. Nei tempi morti imparò come le scene venivano illuminate, i décor costruiti... Aiutò le sorelle, disegnando il logo della loro prima, piccola maison, poi qualche capo di abbigliamento, si inventò figurinista e illustratore. Nel 1926, Vogue-France, per cui aveva disegnato una serie di fondali per le immagini di moda in studio, decise che tanto valeva metterlo dietro l'apparecchio fotografico. Il fotografo di moda George Hoyningen-Huene nasce allora e per un ventennio ne sarà il genio riconosciuto quanto incontrastato.

La bella mostra George Hoyningen-Huene. Glamour e avanguardia (Milano, Palazzo Reale, a cura di Susanne Brown, fino al 18 maggio), ne ripercorre ora le tappe, arricchita da un catalogo (Moebius editore) che, oltre a essere una festa per gli occhi, racconta con molta accuratezza che cosa fossero le riviste di moda dell'epoca, le tecniche e lo sviluppo dell'arte fotografica, il clima e l'atmosfera dei cosiddetti «anni folli» fra le due guerre, il passaggi dal cinema muto in bianco e nero al sonoro e al colore, esperienza in cui, alla fine degli anni Trenta e poi nel dopoguerra, Huene fu protagonista non secondario.

Tornando agli inizi della sua carriera, varrà la pena osservare che la professione di modella, per come si è venuta configurando e per ciò che oggi vediamo in passerella, allora non esisteva. Quelle che posavano per Huene erano per lo più ballerine, cantanti e, soprattutto, profughe russe... Sono gli anni di Josephine Baker, delle Dodge Sisters, di Jean Barry e di Suzy Polidor, ma anche di Nathalie Paley e di «Lud» Fedoseeva, per fare solo due nomi. La prima, figlia del granduca Pavel Aleksandrovic Romanov, occhi grigi e capelli biondi, delicata ed eterea, era una che preferiva «l'adorazione e la poesia alle emozioni», un modo elegante per dire che era frigida. Fu l'amore platonico del ballerino Serge Lifar, dello scrittore Jean Cocteau, entrambi omosessuali, del couturier Lucien Lelong, che per lei lasciò la moglie e che da lei fu poi lasciato per un produttore teatrale... La seconda, di sangue cosacco, aveva un carattere, come racconterà la figlia, «puramente slavo: era gioia frenetica alternata a un dolore infinito. Non aveva paura di niente». Nel primo incontro con Huene, gli scagliò un abito in faccia...

In quegli anni fra le due guerre, Huene incarnò e insieme fotografò lo Spirito del tempo, qualcosa in cui c'era come una grazia liberata dal corpo, una modernità sapientemente intrisa di antico, un equilibrio fra candore e erotismo. Lo poté fare non solo perché aveva una conoscenza dell'arte e della scultura classica fuori del comune, ma perché la sua cerchia di conoscenze e di amicizie contemplava Dalí e il già citato Cocteau, Man Ray e Kees van Dongen, Coco Chanel, Greta Garbo e Marlene Dietrich... La sua foto di Sonia Colmer nei «pyjamas dresses» di Vionnet ha lo stesso magnifico drappeggio, il senso di volo contenuto e un equilibrio che rimandano al tempo scomparso eppure eterno cui appartenne il Partenone. Senza mai scadere nel passatismo, Huene, come egli stesso racconta, si impegnò a celebrare «l'arrivo dell'antichità a Montmartre sulle note della musica jazz. Colonne ioniche si ergevano accanto a fumi di ciminiere industriali (...). E tra i piedistalli dai quali gli dei della Grecia guardavano nudi e in silenzio verso la terra, tra nitriti di cavalli e figure eroiche atleticamente scolpite, le signore e i signori di Parigi, Londra, New York e Biarritz si godevano il sole».

Quando, all'indomani della Seconda guerra mondiale, Richard Avedon fu chiamato da Harper's Bazaar a sostituire Huene che aveva deciso di lasciare la rivista, uscendo dall'ascensore incontrò proprio quest'ultimo, venuto a salutare la redazione: «Arrivi troppo tardi» si

sentì dire ironicamente, a significare che tutto quello che si poteva fare era stato fatto, che non c'era più spazio per fare qualcosa di diverso e che, soprattutto, se n'era andata un'epoca e non c'era altro che rassegnarsi.

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