A Gerusalemme tanti sorrisi ma pochi progressi

Incontrarsi e dirsi arrivederci. L’inedito vertice a tre finisce così. Due ore di freddi colloqui seguiti dalle glaciali dichiarazioni di Condoleezza Rice. Novanta secondi per annunciare nuovi incontri tra Ehud Olmert e Mahmoud Abbas e promettere di tornare presto. Anche chi si sforza d’interpretarlo come il rilancio del “progetto Bush” per uno Stato israeliano e uno palestinese resta deluso. L’algida Condoleezza non fa concessioni. Per lei l’accordo siglato alla Mecca da Hamas e Fatah senza rispettare le tre condizioni poste dal Quartetto diplomatico mette a repentaglio anche il concetto dei due Stati. «Nel caso di uno Stato palestinese i principi esposti dal Quartetto dovrebbero per forza venir rispettati... solo il loro rispetto è garanzia di pace... ma fin qui non ho visto nulla che lasci intravedere la disponibilità del nuovo governo palestinese ad accettare i principi del Quartetto».
Quel summit, voluto da Condoleezza anche quando era ormai chiaro che sarebbe stato meglio rimandarlo, si conferma, insomma, un disastro sostanziale e formale. Già l’immagine d’avvio dei tre leader segregati nella spoglia sala conferenze del David’s Citadel Hotel di Gerusalemme è desolante. Neppure l’abitudine al sorriso e il rituale applauso per le telecamere riesce a regalare un’espressione amabile ai tre volti corrucciati e distanti. Poi tutto segue il copione di ripiego già concordato. Accantonata l’illusione di poter affrontare le irrisolte questioni fondamentali per la nascita dello Stato palestinese, il segretario di Stato si rassegna a dedicare la prima parte dell’incontro all’accordo firmato da Hamas e Fatah. Per la Rice è come parlare di corda in casa dell’impiccato. Il 18 gennaio, quando lanciò l’idea del summit triangolare, il presidente palestinese le sembrava un alleato affidabile, pronto a fronteggiare Hamas e a fargli cambiare rotta. Invece è andato tutto all’incontrario. Abbas ha preferito dar retta agli sforzi concilianti dei sauditi e s’è fatto mettere con le spalle al muro da Hamas. Per la Rice è stato un tradimento bell’e buono ratificato dalla firma alla Mecca di quell’intesa sul governo d’unità nazionale che non prevede né il riconoscimento d’Israele, né la rinuncia alla violenza da parte fondamentalista, né la piena ratifica degli accordi di pace pregressi.
I tentativi della Rice e dei suoi collaboratori di convincere il presidente palestinese a tornar sui propri passi si son rivelati, fin qui, assolutamente inutili. Mahmoud Abbas difende con le unghie e con i denti la propria scelta e continua a sostenerla anche nella prima parte del summit tenendo testa agli avvertimenti della Rice e di Olmert. Saeb Erakat, l’ex negoziatore palestinese oggi consigliere di Abbas, confermerà più tardi che la scelta del presidente di non rinunciare all’accordo con Hamas «lascia poco spazio di manovra».
Il mancato raggiungimento di qualsiasi compromesso viene sottolineato, qualche ora più tardi, anche da Ehud Olmert in un discorso ai vertici del suo partito. «Qualsiasi accordo, compresi quelli sul rilascio di Gilad Shalit (il caporale nelle mani di Hamas) - annuncia Olmert -, resta sospeso».
In queste condizioni il summit non può andare molto lontano. Dopo le scintille della prima ora la Rice invita i suoi interlocutori ad abbandonare la gelida sala conferenze per riprendere i colloqui nella sua suite. Il cambio di stanza aiuta ad addolcire l’eloquio, ma da decidere resta ormai ben poco. L’unico segnale positivo è un accenno all’estensione del cessate il fuoco di tre mesi concordato per Gaza con un’ipotesi di allargamento alla Cisgiordania.
La sostanza dell’incontro è ben riassunta dalla scarna dichiarazione finale della Rice.

«Il presidente e il primo ministro sono d’accordo d’incontrarsi di nuovo, confermano la disponibilità ad accettare la guida americana per superare gli ostacoli, radunare l’appoggio regionale e internazionale e muovere verso la pace. In questa prospettiva attendo di ritornare presto nella regione». Come dire: stavolta è andata così, la prossima speriamo in qualcosa di meglio.

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