«Chi mai lascerebbe la sua patria?». Muammar Gheddafi torna ad escludere di poter accettare l'offerta di un salvacondotto e rispedisce al mittente l'ipotesi di un suo esilio come via d'uscita alla crisi. Intervistato dalla Bbc il Colonnello chiarisce che non intende «lasciare il proprio paese». Una sottolineatura non casuale nel giorno in cui il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ripete che «Gheddafi deve farsi da parte» e «l'esilio è sicuramente una possibilità». E il segretario di Stato Usa Hillary Clinton si muove sul terreno della prudenza rispondendo con un «sì, ma» a una domanda sul possibile esilio del Colonnello. «Vogliamo la fine delle violenze» in Libia e se la violenza potesse finire con la partenza del leader libico, «questo potrebbe essere un buon passo, ma naturalmente crediamo nella responsabilità», quindi nel fatto che Gheddafi debba dover rispondere «per quel che ha fatto», ha detto la Clinton in una conferenza stampa a Ginevra con un implicito riferimento a un processo davanti a una corte internazionale.
Difficile, però fermare le speculazioni su una sua possibile destinazione d'emergenza, nel caso in cui la tenaglia della rivolta continuasse a stringersi, o di elezione visto che il Rais può vantare ancora amicizie importanti nel consesso internazionale. I candidati più gettonati ad accogliere il Colonnello sembrano essere soprattutto tre. Il Venezuela di Hugo Chavez, la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko oppure lo Zimbabwe di Robert Mugabe. Da giorni Gheddafi è asserragliato nella sua residenza-bunker di Bab Al Azizia e, almeno ufficialmente, ha promesso che si batterà, se necessario, fino alla morte. Se questi fermi propositi dovessero incrinarsi non è escluso che possa accettare l'ospitalità di qualche vecchio amico, come il presidente venezuelano Hugo Chavez. Già lunedì scorso il segretario agli Esteri britannico, William Hague, aveva ipotizzato che il leader libico si fosse rifugiato a Caracas. Una notizia smentita poco dopo dall'apparizione in tv del Colonnello, intento ad arringare il suo popolo dalla residenza-caserma bombardata nell'86 dai caccia di Ronald Reagan. Venerdì, tuttavia, Orlando Fernandez Medina, ex governatore dello stato di Lara, nel nordovest del Venezuela, ha rivelato che uno dei sette figli del rais è già al sicuro nell'isola di Margarita, pur non specificando di quale si tratti. Certo è che tra Gheddafi e Chavez intercorrono rapporti di lungo corso, fondati sul comune antimericanismo e su una vecchia idea cara al Colonnello: la costituzione della Sato, la Nato del Sud, basata sull'asse militare Sudamerica-Africa. I due leader si sono incontrati spesso, scambiandosi riconoscimenti e doni, come la tenda beduina regalata dal Colonnello al presidente venezuelano nel 2009. Se Gheddafi scegliesse, invece, una destinazione africana, lo Zimbabwe di Robert Mugabe potrebbe essere un'opzione importante. Il dittatore africano gli ha già offerto asilo e c'è chi sostiene che in questa fase si sia instaurata anche una collaborazione militare.
Infine l'opzione bielorussa: una fuga nel Paese di Lukashenko sarebbe forse la più semplice e veloce per il Colonnello, stretto alleato dell'ultimo dittatore d'Europa. In passato la Bielorussia ha fornito più volte sostegno militare alla Libia, malgrado le sanzioni Onu, e rimane uno dei suoi maggiori fornitori d'armi. L'asse Tripoli-Minsk si è fortificato notevolmente negli ultimi anni, sulla base di rapporti politici ed economici. In aggiunta, la Bielorussia è stata in passato uno dei luoghi prediletti di rifugio di ex despoti, come l'ex presidente del Kirghizistan, Kurmanbek Bakiev, o di ricercati, come il negazionsita Jurgen Graf.
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