Parte da un vizio personale. Lo guarda con locchio bonario che di solito si riserva alle debolezze innocue. Poi lo sguardo spazia più in là, tra le controverse aberrazioni di un modello sociale in cui essere «golosi» non è più una semplice questione di predilezioni gastronomiche bensì unirrefrenabile pulsione allavere tutto, al comprare tutto, al consumare anche ciò che appartiene ad altri. Tenendo fede al piglio giocoso di sempre, Giobbe Covatta debutta questa sera allAmbra Jovinelli in Seven, viaggio ironico tra i sette vizi capitali che, scritto a quattro mani con Paola Catella, sembra destinato a segnare un altro grande successo del comico. «Lidea di questo lavoro - spiega - non so bene come mi sia venuta. O meglio, non lo ricordo più. Sono partito da un vizio buffo, simpatico, che posseggo, la gola, e lho analizzato allinterno della società odierna. Laddove cioè la struttura sociale stessa è diventata talmente golosa dallessere in preda a un consumismo sfrenato. E il consumismo, a sua volta, ha messo in difficoltà unaltra parte del mondo che non può permettersi di esserlo, producendo nel contempo quintali di monnezza». Il discorso, insomma, va dal piccolo al grande, dal singolo alla collettività, come fosse un liquido che si espande a macchia dolio, una costruzione per cerchi concentrici. Fino al cerchio in cui «il vizio, da innocuo e benevolo che era, diventa condannabile». In scena Covatta, affiancato dai musicisti Giosi Cingotti e Ugo Gangheri («se io canto male, loro suonano peggio», scherza), dà vita a una galleria di figure che non impersonificano propriamente i setti vizi in questione ma funzionano, piuttosto, come tipi umani esemplificativi e insieme divertenti. «Cè un razzista che parla della superbia e che si sente al centro delluniverso; cè un povero vecchio costretto dalla moglie a fare il possibile e limpossibile per rimanere giovane; cè un diavolo che racconta quanto Dio sia irascibile e poi ovviamente cè un personaggio che facevo a Zelig, Clemente, che analizza la lussuria dal suo punto di vista (quello posto sotto lombelico, per intenderci)».
Il tutto puntellato poi di celebri canzoni «canticchiate» per intervallare i quadri (tra le altre, La pappa con il pomodoro e Noi siam come le lucciole) e concluso da alcuni passi della Divina Commedia. Naturalmente «riscritti e reinventati da me, non senza riferimenti all'attualità più fresca». In scena fino al 13 aprile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.