Il fenomeno del made in Italy nasce il 12 febbraio 1951 nella Villa Torrigiani di Firenze. In questa bella casa patrizia circondata da un giardino leggendario (quasi 10 ettari di verde nel centro della città) abitava con la moglie e i tre figli Giovan Battista Giorgini detto Bista, un elegante signore che si occupava di commercio con l'estero. Nato nel 1898 a Forte dei Marmi, aveva cominciato la sua carriera dal marmo che imbianca le Alpi Apuane alle spalle della sua casa natale. Poi finì per occuparsi di quello che ancora oggi è il petrolio del nostro Paese: la moda. L'Italia ha una capacità manifatturiera ineguagliabile sviluppata fin dai tempi delle botteghe artigiane medioevali. Anche a livello industriale riusciamo a fare abiti e accessori d'eccelsa qualità ferma restando quell'elegante leggerezza che il mondo ci invidia a cominciare dai francesi, i nostri più agguerriti rivali quando si parla di moda. Bista intuisce che l'America è il mercato giusto da conquistare con il nostro stile impeccabile ma meno paludato dell'haute couture parigina per cui decide di organizzare una sfilata italiana a New York. Il progetto fallisce per questioni di budget, ma lui non demorde e trasforma il problema nella grandiosa opportunità: far vedere che l'Italia non è solo spaghetti, mandolino e folklore. Organizza la sfilata a casa sua subito dopo la fashion week parigina. Invita buyer e giornalisti americani a trattenersi in Europa un paio di giorni in più per assistere all'evento intitolato First Italian High Fashion Show in cui sono coinvolte 10 maison di altissimo profilo. C'è Simonetta fondata nel 1946 da una nobildonna romana sposata in prime nozze con Gaio Visconti di Modrone. Proprio in questa occasione Donna Simonetta Colonna di Cesarò conoscerà tra gli altri stilisti invitati Alberto Fabiani che in seguito diventerà il suo secondo marito. Poi c'è Carosa (griffe creata da Giovanna Caracciolo), Jole Veneziani, Germana Marucelli, Shuberth, le Sorelle Fontana e, per il prét-à-porter, Emilio Pucci che accetta di sfilare solo se Giorgini inviterà anche La Tessitrice dell'isola, marchio dietro cui si nasconde la baronessa partenopea Clarette Gallotti. Sono presenti sei potenti buyer americani e alcuni importanti giornalisti di moda tra cui Bridget Titchner di Vogue e Jerry Stunz di Glamour. Il fenomeno esplode subito tanto che sei mesi dopo fu necessario trovare una location più ampia il Grand Hotel di Firenze (oggi St. Regis) seguito a ruota nel gennaio del 1952 dalla mitica Sala Bianca di Palazzo Pitti. Sotto quegli 11 lampadari in cristallo di Boemia che illuminano i preziosi stucchi candidi del salone creato nel 1765 per il ballo d'insediamento del Granduca Pietro Leopoldo Asburgo-Lorena, se ne sono viste davvero di tutti i colori. Le sfilate in Sala Bianca ebbero un successo straordinario fin dalla prima edizione cui parteciparono con entusiasmo 300 compratori e moltissimi giornalisti di fama internazionale. Tra loro la grande Irene Brin, corrispondente di Harper's Bazaar e una giovanissima Oriana Fallaci che descrive Vincenzo Ferdinandi passato alla storia come inventore del tailleur con queste parole: «Viene da una famiglia di sarti napoletani di gloriosa tradizione ed è un sarto per davvero, non solo disegnatore, cuce da sé i suoi vestiti riservandosi sempre l'onore superstizioso di attaccare l'ultimo bottone e ha per il tailleur lo stesso culto che un coreografo russo può avere per la danza e un cuoco romano per la pastasciutta alla matriciana». Ferdinandi che nel 1948 aveva conosciuto e collaborato con Christian Dior, fu in seguito chiamato dal grande couturier francese per confezionare in 24 ore il tailleur indossato da Jennifer Jones nel film di De Sica Stazione Termini. L'Oscar per i costumi fu vinto e ritirato a nome Dior, ma Ferdinandi ebbe ben altri riconoscimenti tra cui far sfilare la prima modella di colore nella storia della moda, la cubana Dolores Francine Rhineey. Giorgini temeva che mandare in passerella la cosiddetta principessa nera fosse una provocazione troppo forte per i compratori americani, ma Ferdinandi tiene duro e alla fine riceve i complimenti anche da Bista. Lui stesso è uno che ama e sa sparigliare le carte per cui quando decide d'invitare un giovanissimo Roberto Capucci nonostante gli altri partecipanti alla kermesse minacciassero di annullare le loro sfilate dal programma, aggira l'ostacolo facendo indossare le prime creazioni del diciottenne couturier a un gruppo di bellissime invitate allo show. Accadde il finimondo: tutti volevano quei capi straordinari tra cui un abito a 62 teli che è una vera e propria opera d'arte. Non è il solo debutto eccellente in Sala Bianca, si potrebbero citare altri nomi altisonanti come Krizia o Valentino, ma la cosa più interessante è che dall'intuizione di un uomo d'affari toscano è nata un'industria che è la seconda voce attiva della bilancia dei pagamenti nazionali e dà lavoro a circa 90 mila italiani. La storia di questa straordinaria avventura è molto ben raccontata nel libro Giorgini e l'origine del Made in Italy (224 pagg. 49,00 Euro) edito nel 2023 da Gruppo Editoriale Srl. A cura di Neri Fadigati (nipote di Giorgini) e realizzato grazie al Polimoda di Firenze, il libro si avvale delle firme prestigiose di Eva Desiderio critico di moda del Quotidiano Nazionale, Grazia D'Annunzio di Vogue, Sonnet Stanfil del Victoria and Albert Museum di Londra e Gianluca Bauzano del Corriere della Sera. Tra le tante testimonianze raccolte c'è quella di John B. Fairchild che ha ereditato dal padre la rivista WWD (Women's Wear Daily) trasformandola nel primo e più autorevole quotidiano di moda del mondo.
«Giorgini disse ci prese per mano e ci portò in quel nuovo mondo dove uomini e donne in abiti colorati correvano sulla Vespa. Avvinti gli uni alle altre. Come sembravano giovani e sexy nei loro vestiti italiani! E tutti noi ben presto ci innamorammo di quell'eleganza».
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