Giorgio De Chirico: il fascino dell’antico nei suoi «d’après»

Il grande critico Federico Zeri li definiva «monumenti insigni» e «veri e propri capolavori». Sono i «d’après» di Giorgio de Chirico, le opere meno conosciute e apprezzate dell’ideatore della pittura cosiddetta metafisica. Nel trentennale della scomparsa del maestro (avvenuta a Roma il 20 novembre 1978), proprio i d’après, espressione del rapporto che intratteneva con l’arte del passato e con i suoi modelli, sono riuniti nella mostra «De Chirico e il museo», alla Galleria nazionale d’arte moderna fino al 25 gennaio. L’esposizione, organizzata dalla Soprintendenza alla Galleria d’arte moderna e contemporanea con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e curata da Mario Ursino, presenta all’incirca un centinaio tra i dipinti e disegni (oltre a una grande scultura) che l’artista tenne nel suo atelier di piazza di Spagna fino alla morte. Si ricostruisce, in un certo senso, il museo personale dechirichiano. «Nel suo museo - spiega Maria Vittoria Marini Clarelli, soprintendente alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea - troviamo l’archeologia, che fa da ponte ideale fra le sue due patrie, la Grecia e l’Italia, insieme con i grandi maestri sempre amati e quelli riscoperti dopo anni di oblio, le citazioni esplicite e quelle nascoste, i generi pittorici codificati e la tradizione iconografica, l’accademia o meglio la sua estremizzazione. E infine troviamo lui stesso, che si auto-cita nei de Chirico neometafisici, dipinti alla maniera del de Chirico ormai musealizzato». Sei le sezioni tematiche che compongono il percorso espositivo. La prima, «Mitologia e Archeologia», riunisce le opere che rivisitano il mondo classico, con soggetti mitologici e figure che rimandano all’antichità. Tra le altre, si possono ricordare gli «Archeologi», raffigurazione di manichini sul cui torace e ventre si affastellano frammenti di colonne, templi, archi e altri ruderi - soggetto ripetuto in una lunga serie di varianti e in origine elaborato a Parigi nel 1927 -, e «Le Muse inquietanti» del 1947, la cui originaria versione risale al ’18. La sezione «I d’après dai grandi maestri» include le tele eseguite alla maniera di «numi» quali Raffaello, Dürer, Michelangelo, Tiziano, Guido Reni e Gustave Courbet (in mostra anche «La gravida», copia dell’omonimo quadro di Raffaello conservato a Palazzo Pitti). Si passa poi alle rielaborazioni sempre più libere del gruppo «La grande pittura», tra cui anche «Capriccio veneziano» del 1951 ispirato al Veronese, l’unica opera proveniente da una collezione privata (tutte le altre sono in parte della Gnam e in parte della Fondazione intitolata a de Chirico e a sua moglie). Si prosegue con le sezioni «Da Rubens», con le opere ispirate al pittore fiammingo; «La neometafisica», con citazioni dall’antico dipinte alla maniera di se stesso; «Opere su carta», tra cui le dodici illustrazioni della farsa Siepe a Nordovest di Massimo Bontempelli. La mostra è introdotta dalle opere degli artisti che, in un suo articolo del 1919 sulla Galleria d’arte moderna, de Chirico aveva ripartito in «buoni» e «cattivi»: si erano salvati per esempio Gaetano Previati e Armando Spadini, mentre la condanna era caduta su Giovanni Boldini, Giacomo Balla e molti altri.


Il catalogo (Electa) include i saggi di Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Giovanna dalla Chiesa, Antonella Sbrilli, Mario Ursino e Marisa Volpi.
Dal martedì alla domenica, ore 8.30-19.30. Biglietti 7-9 euro. Informazioni: 06.32298221.

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