Giornalisti superficiali e premi a chi reprime la stampa: un Ordine da chiudere

Che alcuni giornalisti siano finiti tra le ganasce dell’Ordine professionale a causa delle inchieste di questi ultimi tempi, non stupisce. Troppo spesso da qualche anno a questa parte c’è stata una contiguità tra informazione e poteri che andava ben oltre la necessità di curare le proprie fonti per avere notizie. Quello che sconcerta è però che la categoria non colga l’occasione per verificare quanti panni sporchi si nascondano dietro la supposta patina di imparzialità di cui presuntuosamente si avvolgono i giornalisti italiani.
È di ieri ad esempio la scoperta che alcuni colleghi andassero al processo di Biscardi perché, a quanto pare, muniti di patentino rilasciato dal direttore generale della Juventus, Moggi. Sarà anche così. Ma siamo certi che chi presenziava in trasmissioni Rai o Mediaset lo facesse solo perché professionista a tutto tondo? O il principio della raccomandazione che si rintraccia in tante altre storie di oggi non è valso anche per qualche penna illustre?
Non è tutto. A leggere certe cronache c’è da restare basiti. Prendiamo un esempio freschissimo: la memoria dell’arbitro De Santis pubblicata ieri da Repubblica. Vi si narra che la Juventus avrebbe deliberatamente perso lo scudetto 2000-2001 a Perugia (era la gara interrotta da Collina per via del diluvio scatenatosi) perché temeva sanzioni pesanti per l’anno precedente a causa della confessione di un calciatore pubblicata su Famiglia Cristiana in cui svelava di aver fatto perdere la propria squadra in una gara decisiva per il tricolore. Secondo De Santis il calciatore in questione era Calori - che l’anno prima giocava nell’Udinese - e la partita incriminata sarebbe stata Udinese-Juventus. Il problema è non tanto che De Santis sbagli tutto, visto che lo scudetto dell’anno prima andò al Milan e che Udinese-Juventus finì 2-2. Ma è il giornalista di Repubblica che prende tutto per buono senza controllare nulla. E il fatto grave è che certe valutazioni di un giornale divengono automaticamente realtà credibili.
S’è letto di tutto su Moggiopoli: verdetti, intercettazioni, sospetti. Peccato non si sia riusciti ad allegare uno straccio di prova, perché davanti ad un mare di parole non si trova un solo arbitraggio scandaloso. E sì che i giornalisti, specie quelli di giudiziaria, dovrebbero essere abituati a frugare nel marcio e a trovare riscontri. Macché. Si prende per oro colato quel che passa il convento e lo si pubblica. Senza manco farsi venire il dubbio di colpire personaggi di contorno, con la scusa che al pubblico piace comunque sbirciare dalla serratura.
Dubito molto dunque, che nei procedimenti disciplinari aperti su qualche collega si possa scoperchiare il sepolcro imbiancato di una onesta informazione. Si ammoniranno forse i presunti «colpevoli» per «moggesità molesta» ma il resto proseguirà come prima.

Del resto è di un mese fa la notizia sul presidente dell’Ordine dei giornalisti italiani, Lorenzo Del Boca, che si è recato in Tunisia per consegnare il «Blason d’amì de la Presse» al presidente della repubblica di quel paese Ben Alì. Peccato che la Tunisia sia nota in tutto il mondo per la sistematica violazione della libertà di stampa. Un Ordine così, forse, è meglio chiuderlo.

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