Girotondi inutili, non siamo la sinistra

Caro direttore,
Sandro Bondi ha ben sintetizzato nell’articolo pubblicato due giorni fa dal suo giornale i termini del dibattito sul futuro di Forza Italia che lui stesso ha lanciato e che sta animando il partito e lo scenario politico nazionale. Un dibattito che in questi giorni viene approfondito a Gubbio nel corso delle giornate di formazione che ormai da alcuni anni, e anche qui il merito va attribuito ad una felice intuizione di Sandro Bondi, il partito svolge nella cittadina umbra.
Purtroppo, come spesso accade in queste situazioni, quando si apre un dibattito sul futuro del primo partito italiano questo si riduce troppo presto ad una discussione attorno alla figura di Berlusconi e alla sua leadership. Noi pensiamo che ogni dibattito, per arricchire la discussione, abbia bisogno di un contesto in cui essere inquadrato. Goethe diceva che «una materia senza forma porta a un sapere ponderoso; una forma senza materia a un vuoto vaneggiare». Interrogarsi oggi sul futuro di Forza Italia e solo sulla nuova organizzazione del partito rischia di essere molto riduttivo.
Siamo d’accordo con Bondi quando dice che la sfida è quella di mantenere un partito «fondato sulla leadership e democratizzazione dal basso». Noi abbiamo un leader, un leader autorevole che nelle elezioni dello scorso aprile ha dimostrato la propria forza, discutere oggi della sua successione (illudendosi che sia questo il vero problema di Fi), non ha senso. Il problema del futuro di Forza Italia, infatti, è l’esatto contrario. Berlusconi rappresenta un patrimonio per il partito e per tutto il centrodestra. Il punto è semmai come trasformare in consenso elettorale le sue intuizioni e il suo carisma.
In una parola occorre capire perché se Berlusconi propone alla gente i contenuti di una politica liberale di centrodestra è vincente, mentre se a proporli sono altri il messaggio non passa. Il problema vero quindi, non è una generica riorganizzazione interna. Vogliamo forse illuderci che una peggiore organizzazione avrebbe impedito a Berlusconi di fare tutto quello che ha fatto?
Evitiamo di perderci nella ricerca di una definizione che possa sintetizzare l’anima di Forza Italia. Ricordiamo bene che, quando vennero nominati ai vertici di Forza Italia Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto qualcuno mugugnò perché alcune anime del partito, in particolare quella cattolica, non avevano trovato rappresentanza. Tutti noi bollammo il dibattito come una discussione inutile e formale. La forza di Fi, infatti, è proprio l’intuizione da cui nacque: quella di essere un grande partito moderato punto di sintesi tra la tradizione del cattolicesimo-liberale e quella laico-socialista. Ad Assago nel 1998 Berlusconi definiva Forza Italia come «un partito di valori e di programma». Da qui dobbiamo ripartire oggi.
Dobbiamo far comprendere ai nostri elettori che siamo ancora capaci di proporre una visione della società alternativa a quella statalista del governo Prodi. Una società fondata sulla sussidiarietà che pone al centro la persona e la sua libertà. Dobbiamo dimostrare ai cittadini che ci hanno dato fiducia che non abbiamo nessuna intenzione di tirarci indietro di fronte alle sfide che il futuro ci pone e, anzi, che la classe dirigente di Fi (che esiste come ha giustamente e con orgoglio detto Sandro Bondi), guidata da Silvio Berlusconi, può vincere quelle sfide. Se a tema c’è il contenuto della nostra proposta anche il dibattito diventa più interessante perché ogni contributo, ogni diversità, si traduce in ricchezza. Altrimenti tutto si risolve nella mediazione degli interessi personali e in qualche poltrona in più e in meno che non giova certo all’unità del partito.
Questo, però, non significa rinviare sine die la discussione attorno all’organizzazione. Ci sono questioni aperte che vanno affrontate. Pensiamo alla presenza del partito sul territorio, alla formazione e alla selezione della classe dirigente, al ruolo dei dipartimenti come strumento per interloquire con la società e proporre contenuti, alla necessità di non fuggire il dibattito interno che deve nascere dai congressi locali e nazionali.
Sandro Bondi parla di dar vita il prima possibile ad una Direzione nazionale del partito. Ha ragione, ma non possiamo evitare la discussione su come i membri di questa direzione verranno scelti, così come non possiamo evitare il dibattito attorno al modo di definire le candidature per i prossimi appuntamenti elettorali, locali e nazionali. Avremo criteri trasparenti, basati sulla meritocrazia o dobbiamo rassegnarci alla logica dell’investitura dall’alto? E ancora, che peso avrà nel futuro del partito il dialogo e il rapporto con la società civile?
Tutti questi elementi sono importanti per rilanciare quel «sogno» con cui Berlusconi giunse al governo del Paese nel 1994 e che, come dimostra il risultato di aprile, affascina ancora gli italiani. Questa è la forza di Fi e del suo leader, lo è sempre stata e sempre lo sarà. Non serve a niente trasformarci in una piccola formazione estremista e girotondina che scende in piazza mossa dalla reattività istintiva contro il governo.

Quello che l’Italia oggi ci chiede è un’opposizione responsabile che proponga contenuti e non rinunci a condannare le incongruenze e le divisioni della maggioranza. Un’opposizione-politica che difende la libertà dei cittadini. Noi non siamo la sinistra, dimostriamolo.

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