Il giudice dà le case ai rom e le toglie agli italiani in attesa

Il tribunale accoglie il ricorso dei rom sulla mancata assegnazione di 25 appartamenti Aler. E accusa il Comune: "Discriminazione etnica". Salvini: i giudici si facciano eleggere

Il giudice dà le case 
ai rom e le toglie 
agli italiani in attesa

Il tribunale accusa il Comune di razzismo: ovvero, detto in termini giuridici, di «un comportamento correlato alla mera constatazione dell’appartenenza all’etnia rom». Questa, secondo il giudice Roberto Bichi, era l’unica motivazione del dietro-front del Comune di Milano, che nel settembre scorso revocò l'assegnazione di case popolari ad altrettante famiglie del campo nomadi di via Triboniano. Per questo ieri il giudice Bichi, presidente della decima sezione civile, ordina a Palazzo Marino di consegnare gli appartamenti a dieci nuclei familiari rom. Decisione da eseguire a tempo di record: Bichi concede al Comune tempo fino al 12 gennaio, ovvero tra quattordici giorni lavorativi.
L’ordinanza del tribunale ribalta con effetto immediato la decisione con cui il Consiglio comunale di Milano aveva bloccato l’assegnazione degli appartamenti ai rom. Il consiglio aveva bocciato la convenzione stipulata in maggio in Prefettura, nell’ambito della lunga e complessa trattativa sullo sgombero del campo di via Triboniano. Tra l’altro, la convenzione prevedeva che la Regione e l’Aler individuassero 25 appartamenti popolari in stato di degrado, e che - dopo essere stati risanati utilizzando dei fondi speciali - essi venissero provvisoriamente assegnati ad altrettante famiglie nomadi. Ma contro l’accordo, sponsorizzato dall'assessore ai servizi sociali Mariolina Moioli, si sollevò la maggioranza dei consiglieri di centrodestra, attraverso una mozione firmata dal capogruppo del Pdl Giulio Gallera. Prima ancora che la mozione venisse messa ai voti, il sindaco decise di bloccare tutto. L’operazione si arenò. Ma il 25 ottobre dieci abitanti del campo, con in testa il capofamiglia Cristinel Buruiana, si rivolsero al tribunale per ottenere il rispetto degli accordi.
Ieri, i giudice Bichi dà loro ragione su tutta la linea. La convenzione siglata in maggio in Prefettura, scrive Bichi, era un provvedimento vincolante E la retromarcia del Comune, afferma il giudice, fu pertanto illegittima. Il tribunale, ritenendola motivata unicamente da pregiudizi etnici, ritiene dunque di doverla annullare alla luce delle normative europee - recepite nella normativa italiana - che proibiscono che «possano trovare spazio nel circuito sociale atti, prassi, comportamenti di privati o di soggetti pubblici che, anche indirettamente, determinino una situazione di svantaggio, o impediscano il raggiungimento di un legittimo vantaggio, a persone in dipendenza dell’origine etnica».
Come si sia arrivati alla decisione di ieri è un piccolo «giallo». Dopo l’annullamento dell’accordo, infatti, Comune e Prefettura avevano iniziato a cercare soluzioni alternative per collocare i rom di via Triboniano, tra cui una cascina di proprietà di Ligresti e alcuni alloggi del Pio Albergo Trivulzio e del Policlinico. Alla prima udienza in tribunale, il 24 novembre, il giudice Bichi aveva chiesto agli avvocati del Comune proprio se esistessero «piani B» per dare una sistemazione ai nomadi. Per questo il processo era stato rinviato di tre settimane. Ma all’udienza successiva, il 13 dicembre, i legali di Palazzo Marino non avevano fatto alcun cenno ne alla cascina di Ligresti ne ad altre sistemazioni.

A quel punto Bichi ha deciso per il pieno ripristino dei vecchi accordi. «La mia impressione - racconta Alberto Guariso, avvocato delle famiglie nomadi - è che il Comune non si sia neanche difeso: come se in fondo fosse contento che il tribunale gli togliesse le castagne dal fuoco».

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